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Cloud repatriation: i calcoli di Basecamp

Lasciare in parte il cloud porta un risparmio di 7 milioni di dollari in 5 anni, spiega il CTO David Heinemeier Hansson

Cloud

Nel dibattito - magari non troppo evidente, ma attuale - sulla cloud repatriation, Basecamp è certamente il nome di spicco. Quelli che ci hanno messo la faccia, in un certo senso. E fatto scalpore, a modo loro, perché Basecamp è una piattaforma nata e cresciuta sul cloud, utilizzata da aziende che il cloud lo vivono intensamente. Che proprio una software house del genere puntasse sull'abbandono dell'as-a-Service, ha fatto notizia.

Ora David Heinemeier Hansson, CTO e co-proprietario di Basecamp, ha messo un cartellino del prezzo preciso sui servizi cloud che intende abbandonare. Lo ha potuto fare perché la software house ha dato seguito alla sua idea di virare di nuovo verso l'on-premise e ha valutato diverse opzioni possibili per questa evoluzione. Si è fatta in casa gli strumenti di cui aveva bisogno e ha "rimpatriato" una prima applicazione. Questa esperienza le fa confermare l'obiettivo di una repatriation quasi totale. E le ha fatto calcolare i risparmi che ne deriveranno: circa sette milioni di dollari in cinque anni, per la parte di computing.

Il conto, per Basecamp, è semplice. Nel 2022 l'azienda ha speso 3,2 milioni di dollari in servizi cloud. Una buona fetta in cloud storage, per la conservazione e la replica di circa 8 Petabyte di dati. Questa componente cloud non verrà "rimpatriata" a breve ma solo nel corso del 2024. Si interviene invece subito sui 2,3 milioni di dollari spesi in cloud computing, ossia server virtuali.

Basecamp ha deciso di sostituire questa componente di cloud computing con un nuovo parco server in grado di supportare 4.000 CPU virtuali distribuite su due data center. Si tratta di macchine Dell con una configurazione ancora da definire precisamente, ma che nel complesso costeranno circa 600 mila dollari. Considerando un periodo di ammortamento di cinque anni, spiega il CTO di Basecamp, il costo per anno è di 120 mila dollari. Solo per i server.

A questo costo si aggiunge quello della gestione delle macchine all'interno dei data center: prima di tutto consumo energetico e di banda. Basecamp stima che questi costi siano intorno a 720 mila dollari l'anno, il che porta a un totale di spesa di 840 mila dollari l'anno. Contro 2,3 milioni di costi cloud. Il risparmio portato dalla repatriation è quindi, nel periodo di ammortamento previsto dei server, pari a circa 7,3 milioni di dollari.

David Heinemeier Hansson, ora, è piuttosto netto: "A questo punto - spiega - qualsiasi almeno media azienda SaaS con carichi di lavoro stabili che non confronti l'affitto dei server in cloud con l'acquisto di proprie macchine è negligente dal punto di vista finanziario". Una frase che spinge decisamente il concetto della cloud repatriation ma che allo stesso tempo ne definisce in un certo modo i confini di applicazione.

Nell'ottica di Basecamp, una software house SaaS di medie dimensioni è comunque una azienda solida con molte competenze tecniche al proprio interno. E il riferimento a "carichi di lavoro stabili" ha la sua importanza, perché se i workload non cambiano granché nel tempo allora non si devono considerare sia uno dei principali pregi del cloud (la rapida scalabilità delle risorse) sia uno dei più grandi limiti dell'on-premise (la necessità di fare overprovisioning).

Pur con queste cautele, il merito di Basecamp è quello di stimolare regolarmente il dibattito sulla repatriation. Che non sarà una opzione generalizzata ma potrebbe stimolare qualcuno che, cifre di Heinemeier Hansson alla mano, potrebbe iniziare a farsi i conti in tasca.

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