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Legacy? Quale legacy? La visione di IBM per il mainframe z15.

Per IBM il mainframe resta in molti settori la colonna portante del business enterprise. Basta aprirlo alle nuove tecnologie.

Trasformazione Digitale Cloud
Il lancio di una nuova generazione di mainframe IBM z è sempre un evento importante. Lo è per IBM, ovviamente, dato che buona parte del suo business hardware è legato alla ciclicità del mondo mainframe. Ma lo è anche in generale, per una considerazione che si fa raramente, magari proprio solo in coincidenza con il rinnovamento della linea z. La considerazione è che il mainframe è ancora la base su cui moltissime grandi imprese costruiscono il proprio business quotidiano. Esaminare come IBM cambia il mainframe è quindi importante, perché si riflette su ciò che le aziende potranno - o non potranno, secondo i critici - fare nel prossimo futuro.

Da questo punto di vista è utile notare che IBM nel nuovo z15, presentato di recente, ha agito secondo due linee di sviluppo. La prima è ovviamente potenziare l'hardware e le sue funzioni. Il nuovo mainframe segue il design del modello z14, quindi occupa meno spazio rispetto alle generazioni ancora precedenti, con rack da 19 pollici invece che da 24. Il salto generazionale si vede nelle prestazioni, che secondo IBM sono genericamente superiori a quelle dello z14.

La crescita nelle performance è d'altro canto necessaria per seguire le richieste dei grandi utenti. E per permettere ad IBM di continuare a sottolineare che i sistemi mainframe installati gestiscono un volume di transazioni di diverse volte superiore al volume delle ricerche gestire da Google. Se Big G è un termine di paragone - e lo è - questo dà l'ordine di idee dell'importanza che hanno ancora i sistemi cosiddetti legacy.

ibm mainframe factory floor
Definizione che IBM ovviamente non condivide. Anche perché un sistema legacy dovrebbe essere lontano dalle esigenze degli utenti e non aggiornabile. IBM sottolinea invece che la progettazione dello z15 deriva da una operazione di design thinking che ha pesantemente coinvolto gli utenti. Si è intervenuto per migliorare ciò che serviva ai clienti e per introdurre le funzioni più richieste. Come accadrà anche per le versioni successive, già in fase di progettazione se si considera che il ciclo di design di un mainframe raramente è inferiore ai tre anni.

IBM z15, tra cloud e sicurezza

Seconda linea di sviluppo: IBM posiziona esplicitamente i mainframe di nuova concezione, come lo z15, al centro di una architettura di cloud ibrido. In particolare per i clienti che si preoccupano molto della tutela e della privacy dei loro dati. L'apertura al cloud ibrido era iniziata già tempo fa attraverso una precisa strategia di API. Ora, nella IBM della fusione con Red Hat, vede in OpenShift una piattaforma di riferimento che in prospettiva si unirà a z/OS e LinuxOne.

Questo significa tra l'altro che il buon vecchio mainframe diventa (anche) una piattaforma di sviluppo cloud. Certamente molto più costosa (non esistono z15 "da scaffale"...) di quelle industry-standard, ma anche molto più potente (IBM parla di 2,4 milioni di container per sistema). Tanto che potrebbe attirare anche aziende molto meno classiche di quelle che si associano al mondo mainframe. Un mainframe, vien da dire, quasi da startup. E anche in questo senso il tema security/privacy è una ottima carta da giocare.

IBM z15 fa leva in questo senso sulle funzioni di security e protezione dei dati. In particolare con la tecnologia Data Privacy Passports, disponibile sugli z15 con LinuxOne. Si tratta in estrema sintesi di un sistema di cifratura che trasforma i blocchi di dati critici nei cosiddetti Trusted Data Object (TDO). I TDO sono criptati "a bordo" di uno z15 grazie alle sue funzioni di cifratura nativa, e restano cifrati ovunque poi vengano trasferiti. Quindi anche in cloud. Ciò significa che anche una falla nella rete o in qualche piattaforma cloud non mette in pericolo le informazioni, che non si possono estrarre dai TDO.

Su questa base IBM ha costruito anche altri servizi collaterali. Come ad esempio la definizione di policy di data masking in funzione di chi accede ai Trusted Data Object, di cui così vede solo certe informazioni e non altre. Oppure la possibilità di tracciare tutto il ciclo di vita dei TDO, anche per necessità di compliance.
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