Washington "converte" in una partecipazione azionaria i fondi già destinati a Intel secondo il Chips Act di Biden. Un'idea da replicare?
Dopo qualche indiscrezione, è arrivato l’annuncio ufficiale: il Governo USA ha acquisito il 10% circa di Intel (più precisamente il 9,9%, se si considera il valore delle azioni Intel al momento dell’accordo) e lo ha fatto senza, concretamente, investire nemmeno un dollaro. Gli 8,9 miliardi di dollari che sono serviti per acquisire un decimo dell’azienda erano infatti già stati stanziati per Intel ma mai effettivamente pagati. La “conferma” di questi stanziamenti pregressi ma sospesi (5,7 miliardi di dollari previsti dal Chips and Science Act e altri 3,2 nell’ambito del programma Secure Enclave) vale ora come pagamento per la quota della società.
L’operazione si è svolta un po’ in stile Trump. Qualche tempo fa il Presidente degli Stati Uniti aveva accusato il CEO di Intel, Lip-Bu Tan, di avere un conflitto di interessi nella gestione della società e ne aveva chiesto le dimissioni. Ora, ad accordo avvenuto, definisce il manager come il “Highly Respected Chief Executive Officer” di Intel e sottolinea l’importanza dell’acquisizione. Anche da un punto di vista economico, dato che l’accordo ha prevedibilmente fatto crescere la quotazione di Intel in Borsa e, quindi, anche il valore di quel 9,9% ora in mano direttamente a Washington.
Intel sottolinea, tra le righe ma abbastanza chiaramente, che non siamo di fronte a una sorta di statalizzazione parziale. L’investimento pubblico sarà “passivo”, nel senso che il Governo USA non avrà rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione e non avrà particolari diritti in quanto a governance dell’azienda. Inoltre, si è impegnato a votare, come azionista, seguendo le indicazioni del CdA. Anche se, si specifica, “con limitate eccezioni” non ben specificate.
L'annuncio dell'accordo con Intel da parte di Trump, su Truth Social
Dal punto di vista dell’Amministrazione Trump la logica dell’investimento in Intel è molto chiara. Pur con tutte le sue attuali difficoltà, Intel resta un’azienda di primissima fila per la sua capacità sia di progettare semiconduttori, sia di produrli. Dato che la microelettronica è un ambito tecnologico di importanza strategica nazionale, avere una partecipazione statale in Intel rappresenta una evoluzione importante. E mette al sicuro dal rischio – limitato, ma non nullo – che Intel potesse essere “scalata” da qualche azienda straniera della microelettronica. Il tutto, senza spendere un dollaro in più di quanto già deciso in precedenza e persino dall’Amministrazione precedente.
Tra l’altro, l’accordo raggiunto con Intel prevede anche una ulteriore forma di salvaguardia per Washington. Nel caso in cui Intel non mantenesse più il controllo della sua parte produttiva – le famose foundry, per intenderci – allora il Governo USA avrebbe diritto ad acquisire un altro 5% della società, ad un prezzo di favore (20 dollari per azione, oggi siamo quasi a 25). Questa clausola varrà per i prossimi cinque anni.
L’acquisizione del 10% di Intel è una buona vittoria di immagine per l’Amministrazione USA, che può mostrare come intenda mettere in sicurezza le aziende statunitensi che operano in settori giudicati strategici. Non a caso, il comunicato ufficiale di Intel sull’operazione riporta anche le dichiarazioni dei CEO di alcune importanti aziende partner (Microsoft, Dell, HP, AWS) che sottolineano anche loro l’importanza dell’agenda Trump nel rafforzamento della leadership tecnologica degli Stati Uniti.

Meno ovvio è capire quanto il caso Intel sarà isolato o possa diventare una sorta di test per altri accordi simili. Non è un mistero che Trump volesse inizialmente affossare il Chips Act, alla pari di molte altre iniziative avviate dall’Amministrazione Biden, e che abbia poi capito che farlo sarebbe stato molto, molto complesso. L’idea di trasformare gli investimenti previsti dal Chips Act in quote azionarie delle aziende che li ricevono ha senso – i fondi pubblici così ritornano ai cittadini, idealmente, e l’immagine dell’Amministrazione Trump ne guadagna – e qualcuno potrebbe volerla replicare.
Lo scenario è ipotetico ma interessante. Di certo la mossa di Trump ha aiutato Intel, altre aziende tecnologiche USA avrebbero probabilmente reazioni diverse. È vero che tutte prenderebbero volentieri i fondi pubblici, ovviamente, ma non tutte hanno le difficoltà finanziarie di Intel e potrebbero non gradire la presenza del Governo nel loro azionariato. Perché a parole tutti si fidano delle strategie di Washington, e le apprezzano, ma tutti sanno anche bene che le carte in tavola possono cambiare davvero rapidamente.