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Tassa europea alle cloud company: il dibattito continua

Gli USA rispondono alla consultazione UE confutandone i principi. Con l’aiuto in parte inatteso delle Authority nazionali europee delle telecomunicazioni

Trasformazione Digitale

Gli Stati Uniti hanno partecipato alla consultazione pubblica che la Commissione Europa ha lanciato in merito alla possibilità di far pagare direttamente alle cloud company e ai content provider una quota dei fondi necessari allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazioni europee. Questa misura di finanziamento diretto toccherebbe le cloud company che generano almeno il 5% del traffico dati di un operatore di telecomunicazioni.

Se i CAP sfruttano le infrastrutture Internet europee per servire i clienti europei e fare maggiore business in Europa - è il parere di Bruxelles - è anche giusto che contribuiscano alla creazione e alla crescita delle reti. È un principio generale della UE, esteso a tutti gli operatori di mercato che traggono beneficio dalla digitalizzazione. L'interesse degli USA alla questione è ovvio: i CAP più importanti che operano in Europa sono statunitensi. Questo giustifica l'intervento della National Telecommunications and Information Administration (NTIA).

Gli USA considerano l'idea della tassazione diretta dei CAP come la strada sbagliata, proponendo invece il modello di finanziamento delle infrastrutture "misto" che è stato definito negli Stati Uniti. Questo modello si basa sullo Universal Service Fund, un fondo alimentato dai CAP che operano a livello federale con una quota percentuale del loro fatturato. Lo sviluppo delle infrastrutture di TLC di un generico operatore statunitense viene finanziato attraverso tre canali: i suoi investimenti privati, gli investimenti pubblici del Governo, una quota del fondo USF.

Washington ammette che "gli operatori di rete devono poter recuperare i loro costi e avere un ragionevole ritorno sugli investimenti". Questo - sottolineano - avviene anche negli USA grazie a corpose iniezioni di denaro pubblico, quando necessario in nome di un accesso equo alle reti a larga banda. Ma non c'è, nella loro visione, la possibilità di un finanziamento che vada da un CAP direttamente agli operatori di rete. Banalmente perchè "l'obbligo di pagamenti diretti agli operatori di telecomunicazioni europei, in assenza di garanzie sulla spesa, potrebbe rafforzare la posizione dominante degli operatori più grandi".

Il timore per nulla velato è che gli operatori di telecomunicazioni europei incamerino una nuova "tassa" imposta ai CAP e poi non la usino davvero per sviluppare le loro infrastrutture. Il messaggio è anche di tipo competitivo. Se un operatore europeo non riesce a costruire la rete che vorrebbe, il problema in fondo è suo. Se non riesce a stare sul mercato ma la sua rete deve comunque garantire un accesso equo alle reti broadband, va finanziato con fondi pubblici della sua nazione o della UE. Non dalle aziende statunitensi. I finanziamenti pubblici, sostiene tra l'altro la NTIA, garantiscono la necessaria trasparenza perché sono erogati secondo regole precise e in funzione di obiettivi altrettanto precisi.

Le critiche in Europa

Le perplessità sul progetto di Bruxelles non vengono solo da Oltreoceano. Anche il Body of European Regulators for Electronic Communications (BEREC), che raccoglie le varie Authority nazionali delle telecomunicazioni della UE, non è d'accordo con l'idea. In particolare, il BEREC evidenzia che il core business degli operatori infrastrutturali di TLC continua a essere, e resterà nei prossimi anni, la connettività offerta a privati e aziende. Il giro d'affari ricorrente così generato "dovrebbe poter finanziare i futuri investimenti nelle reti". L'intervento normativo dovrebbe esserci solo quando gli investimenti privati non riescono a supportare gli obiettivi di inclusività digitale.

Venendo al tema specifico del "contributo equo" allo sviluppo delle infrastrutture da parte di chi le usa, il BEREC sottolinea che questo contributo non deve essere necessariamente economico. Quello legato a Internet è un ecosistema in cui attori diversi offrono contributi differenti: reti, infrastrutture digitali, contenuti, applicazioni, servizi, competenze. In questo modo tutti contribuiscono alla digitalizzazione e vi investono.

Per il BEREC è difficile giustificare una sorta di tassa nel campo delle reti fisse perché qui esiste un legame solo marginale tra l'aumento del traffico in rete e i livelli di investimenti richiesti nello sviluppo della rete stessa. "Gli elementi di maggior costo nell'implementazione delle reti sono collegati alla rete di accesso" e questi costi sono già tipicamente coperti dagli abbonati, privati e aziende.

Anche le Authority europee poi rilanciano il dubbio espresso dagli USA: non c'è nessuna garanzia, a priori, che i proventi della "tassa" pagata dalle cloud company sarebbero usati per sviluppare le infrastrutture. Mentre c'è la ragionevole certezza che i CAP trasferirebbero i maggiori costi operativi direttamente ai loro clienti. Oppure sarebbero motivati a ridurre il numero e la qualità dei loro servizi. Nel complesso, questo porterebbe a una perdita netta per il welfare digitale della società e dell'economia in Europa.

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