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Che succede al quantum computing?

Le grandi aziende dell'IT investono e producono, lentamente, risultati. Ma le altre non sembrano tenere il passo e il mercato si fa scettico.

Tecnologie

Quanto si sta articolando davvero il mercato del quantum computing? E quanto sono solide le aziende che vogliono giocare un ruolo in questo settore? Rispondere a queste domande è allo stesso tempo molto semplice e piuttosto complicato, come spesso accade per le tecnologie ancora di frontiera. E le domande non avrebbero nemmeno tanto senso di essere poste se non fosse che stiamo andando verso uno scenario del mercato IT, e tecnologico in generale, in cui ci saranno sempre meno fondi a disposizione.

La risposta semplice è che le nuove tecnologie affrontano sempre alti e bassi. Oggi sembra che l'AI, grazie alle piattaforme generative, sia una forza inarrestabile che travolgerà ogni ambito applicativo. Ma di AI ne parliamo da decenni e il boom attuale non fa dimenticare il cosidetto "AI winter" di anni fa, quando pochi investitori scommettevano sullo sviluppo di un settore che, in fondo, era stagnante dagli anni '80-90. Ora invece i miliardi si sprecano.

Proprio considerando le cose in prospettiva diventa difficile rispondere a diverse domande. Il quantum computing oggi ha tutte le caratteristiche dell'AI di un decennio fa. È chiaro che prima o poi esploderà - in positivo - perché l'elaborazione quantistica porta evidentemente vantaggi che non ci possiamo perdere. Allo stesso tempo è chiaro anche che per arrivare a quel boom positivo servono anni di ricerche, test, investimenti. In un mercato che però fa fatica a considerare l'innovazione come una maratona. Ama solo le corse brevi.

Così il mercato del quantum computing appare nettamente diviso in due. Da una parte ci sono le grandi aziende dell'IT, stile IBM e Google. Aziende che hanno preso la strada del quantum computing sin dagli albori e in un certo senso lo hanno inventato, commercialmente parlando. Dall'altro lato ci sono aziende tecnologiche e startup innovative che possono portare un importante contributo e che, spesso, il loro posto al sole riescono a conquistarlo. Il problema semmai è riuscire, dopo, a mantenerlo.

Casi emblematici

In queste settimane i casi più emblematici sono quelli di D-Wave e Rigetti, due aziende che fanno a pieno titolo parte della prima linea del quantum computing ma che rischiano, ciononostante, di trovarsi fuori mercato. Nel senso borsistico del termine, perché entrambe sono quotate al Nasdaq ma da tempo non riescono a superare il singolo dollaro di quotazione, soglia minima per restare in Borsa. Ai loro massimi le due aziende hanno toccato i 12 dollari circa, nemmeno tanto tempo fa: a fine 2021 per Rigetti e a metà 2022 per D-Wave.

D-Wave e Rigetti hanno tempo per recuperare e possono farlo migliorando i loro risultati, per recuperare la fiducia del mercato, oppure con qualche artificio finanziario. La loro involuzione fa comunque notizia perché si tratta di due nomi che hano avuto e stanno avendo un ruolo significativo nello sviluppo delle tecnologie quantistiche. D-Wave, in particolare, ha di fatto reso commercializzabile il modello di quantum annealer come scorciatoia verso l'elaborazione quantistica.

Ma il "quantum winter", secondo i più pessimisti, sembra in arrivo. Le giovani aziende tecnologiche operano ovviamente in perdita (Rigetti ha chiuso il 2022 con un rosso di 71 milioni di dollari, D-Wave stima di chiuderlo in negativo di 49) a fronte di business che crescono ma che non portano poi tanti soldi in cassa (il fatturato 2022 di Rigetti è stato di 13 milioni, D-Wave punta a stare tra 7 e 9). Se muoversi su queste cifre è difficile per nomi relativamente nuovi ma ormai noti, figuriamoci per le altre circa 600 startup che oggi ruotano intorno al quantum computing.

Il limite dell'elaborazione quantistica, dal punto di vista del mercato, è evidente. La tecnologia alla base è abbastanza nota da rendere noti anche i suoi tempi: tutti gli interessati sanno bene che non avremo quantum computer concretamente diffusi prima - se va bene - della fine del decennio. Prima avremo, e in parte già abbiamo, sistemi più o meno utilizzabili e più o meno performanti, fisici o virtuali in cloud, ma a cui non è semplice accedere e per i quali il rapporto costi/benefici non è sempre chiaro.

Questo non è un problema per i grandi dell'IT, ma diventa una questione di probabilità di sopravvivenza per gli altri attori del mercato. Tanto che diversi analisti prevedono una selezione naturale massiccia delle startup di settore: se oggi sono diverse centinaia, è probabile che nel giro di un paio d'anni siano la metà. Non tutte falliranno, molte avranno anzi una "exit" sostanzialmente positiva finendo acquisite da qualche grande nome. Ma l'innovazione senza una percezione di concretezza adesso ha in generale vita difficile.

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