Il comparto delle startup e scaleup nazionali è stabile ma troppo poco dinamico. Serve un cambio di passo per arrivare a un ecosistema davvero maturo e di aiuto al sistema-Paese.
Se il rapporto tra le aziende italiane e l'innovazione digitale è sempre un po' sofferto, è un po' anche perché in Italia manca ancora un motore molto importante per lo sviluppo di quella innovazione - anche estrema, perché no - che le aziende cercano al loro esterno: un ecosistema davvero dinamico di startup e scaleup nazionali. Perché anche in questo comparto l'Italia fa una grande fatica a passare da una fase di primo, e tutto sommato soddisfacente, sviluppo a una di vera maturazione, ormai necessaria.
Come viene spesso sottolineato, altrove non è così. Senza scomodare la mitica Silicon Valley, in diverse nazioni le startup sono una fonte cruciale di quell'innovazione che le grandi imprese, anche tecnologiche, non hanno più tempo di sviluppare. E le neo-aziende che diventano scaleup portano organicamente nuove tecnologie e nuovi servizi sul mercato.
È questione, anche e soprattutto, di fondi. Secondo l’Osservatorio Startup & Scaleup Hi-Tech del Politecnico di Milano Nel 2025 le startup e scaleup hi-tech italiane hanno raccolto investimenti in equity per 1.456 milioni di euro, cifra che rappresenta un +2,8% rispetto ai 1.416 milioni del 2024 ma che è decisamente sotto il picco dei 2.160 milioni del 2022. Da un lato quindi non ci si può lamentare, perché evidentemente l'ecosistema tiene, dall'altro non si può nemmeno andare avanti così, perché un mondo startup che resta conservativamente fermo è una contraddizione in termini e, comunque, serve a poco.
Per questo Antonio Ghezzi, Direttore dell’Osservatorio, parla del 2025 come "anno della consapevolezza" per un mondo delle startup che "fatica a valorizzare pienamente i suoi talenti e ad attrarre investitori, dove le startup incontrano difficoltà nel percorso di trasformazione in scaleup". Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, parla invece di un "ecosistema incompleto" in cui il problema non è la capacità di creare innovazione ma la persistenza di una serie di limiti (di fondi, di mentalità, di visione) che hanno portato a un ecosistema limitato e chiuso, incapace di autoalimentarsi.

Il quadro è, in buona parte, già visto. Le startup italiane che hanno raggiunto una fase di maturazione concreta e si sono trasformate in attori solidi, anche internazionali, sono poche e restano casi di successo isolati. In confronto, la fascia "media" delle startup ad alto potenziale, ma ancora con poco capitale, continua a faticare molto nella sua crescita. Il problema, se vogliamo di fondo, è appunto anche qui: "non basta più puntare sull’eccezione, dobbiamo costruire normalità: round consistenti, capitali internazionali, exit, attori professionali", spiega Andrea Rangone. Inutile quindi aspettare il sospirato avvento di qualche nuovo "unicorno" nazionale che dia un nuovo (breve) impulso all'ecosistema startup-scaleup: serve muoversi in modo trasversale.
In primo luogo, serve dare una maggiore solidità e credibilità alla "partenza" dell'innovazione, rafforzando il collegamento tra ricerca, Università e impresa. Questo crea le condizioni per attivare più investimenti da parte di tutti gli attori possibili: formali (venture capital indipendenti, corporate o governativi), che in Italia restano sempre abbastanza stabili; informali, oggi in calo; internazionali, in crescita ma troppo concentrati sui "campioni" nazionali. Ma serve anche rendere più attraente l'idea stessa di investire nelle startup italiane, creando condizioni di uscita favorevoli per gli investitori, semplificando norme, incentivando operazioni di fusione e acquisizione, riaprendo il tema delle IPO.
E se su alcuni limiti culturali dell'ecosistema italiano - principalmente la scarsa propensione al rischio e una visione limitata al mercato domestico - non si può intervenire più di tanto, bisogna certamente farlo per quanto riguarda l'internazionalizzazione delle startup italiane. Un punto sempre dolente, soprattutto perché a livello UE manca una invece necessaria uniformità delle normative legate alla crescita internazionale delle startup e delle scaleup.