La International Digital Strategy proposta dalla Commissione Europea intende rafforzare la posizione della UE sui mercati globali del digitale. Ma manca di concretezza.
La Commissione Europea ha presentato una proposta di "International Digital Strategy" per la UE: un insieme di azioni e collaborazioni che l'Unione intende concretizzare per rafforzare la sua posizione sui mercati globali del digitale. Il documento in realtà manca di un filo conduttore preciso, se non il fatto che, secondo la Commissione, nessun Paese o regione del mondo può concretizzare da solo tutte le potenzialità delle nuove tecnologie - specie l'AI - ed è attraverso le collaborazioni internazionali che ciascuno può sfruttare i propri punti di forza.
Da questo punto di vista, sempre secondo la Commissione, la UE può giocare diverse carte interessanti. Si va dal mercato unico digitale all'essere "leader mondiale nell'importazione e nell'esportazione di servizi digitali", dalla presenza di diverse aziende tecnologiche leader a livello mondiale ad un numero crescente di startup tecnologiche, da elevate capacità interne di ricerca e innovazione alla capacità di fornire soluzioni tecnologiche per la sovranità digitale.
Partendo da questi presupposti, la International Digital Strategy della UE dovrebbe seguire quattro direttrici principali. La prima è potenziare ed approfondire le collaborazioni e le partnership che la UE già con altre nazioni o regioni, quando si tratta di digitalizzazione. La seconda direttrice è andare oltre le collaborazioni già in essere per definirne di nuove. La terza è considerare tutte queste partnership vecchie e nuove in una logica integrata, di rete, favorendo cioè le sinergie e le collaborazioni tra i vari filoni. Infine, una direttrice di sviluppo riguarda in modo specifico l'utilizzo delle nuove tecnologie e del digitale in campo cybersecurity e Difesa.
Il documento della International Digital Strategy indica poi gli ambiti tecnologici principali in cui queste direttrici di sviluppo devono applicarsi: le infrastrutture digitali, le tecnologie emergenti (AI, 6G, semiconduttori, quantum computing), la cybersecurity, il controllo delle campagne di disinformazione, le identità digitali, le piattaforme online.
A livello concettuale c'è poco da eccepire sulle intenzioni della Commissione Europea: è ovvio che le collaborazioni tecnologiche internazionali fanno bene a chi ne fa parte, è altrettanto ovvio che i settori principali da traguardare sono proprio quelli elencati. È il passo successivo della concretizzazione delle intenzioni che un po' manca. O, meglio, appare sin troppo destrutturato: si declina in un lungo elenco di futuri progetti specifici di collaborazione - alcuni concreti e interessanti, altri molto meno - che sanno poco di strategia e più di generica apertura alle collaborazioni in ogni spazio possibile.
Più che l'elenco in sé dei progetti di partnership, che insieme fanno un corposo allegato, vale quindi la pena evidenziare che questa apertura alle sinergie tecnologiche coinvolge un gran numero di nazioni di tutto il mondo ma non comprende due grandi assenti: Stati Uniti e Cina. Forse perché con i primi sta diventando difficile collaborare, con la seconda è sempre stato delicato. D'altronde, se la UE intende affermarsi come partner tecnologico chiave, è proprio a USA e Cina che deve togliere quote sul mercato globale.