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L’interrogativo se lo è posto anche il Wall Street Journal: OpenAI sta diventando “too big to fail”? Nessuno vuole impedirle di crescere in funzione delle sue capacità, quello che preoccupa è un problema più ampio ed imprevisto: l’intreccio sempre più stretto tra questioni tecnologiche e finanziarie, che impedisce una chiara valutazione delle aziende collegate alla “nuova” AI.

OpenAI non è quotata e quindi non è obbligata a dare risultati finanziari ufficiali, con la conseguenza che non è possibile valutare davvero il suo andamento. Certo i suoi manager qualcosa dicono, ma è come chiedere al proverbiale oste se il vino è buono: niente gli vieta di abbellire la realtà. Quindi di OpenAI sappiamo quello che è scontato: non ha mai fatto utili, il suo fatturato è in crescita, spende miliardi di dollari a trimestre perché “fare” AI costa. Associare veri numeri a questa descrizione vaga non è semplice. Si è provato a farlo partendo dai dati - questi sì ufficiali - di Microsoft: in quanto investitore di OpenAI, le performance di quest’ultima lasciano traccia nei bilanci di Redmond.

Da questa analisi, e da altre analoghe, nasce la perplessità di diversi osservatori finanziari, secondo cui OpenAI sarebbe troppo ottimista nelle sue previsioni di fatturato e starebbe spendendo in risorse cloud anche il doppio di quanto non entri in cassa. Da qui perdite che non fanno altro che crescere: ad esempio, nel trimestre luglio-settembre 2025, un passivo stimato in oltre 11 miliardi di dollari. È normale che le startup brucino dollari, ma non così. Venture capital e investitori privati sono stati ben disposti a ...

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