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Nutanix, il cloud ibrido è il nuovo mantra

Partendo dai risultati dello studio Enterprise Cloud Index, i vertici in Italia della società fanno il punto sui trend prevalenti oggi in ambito multi-cloud

Tecnologie Trasformazione Digitale Cloud
Fine anno con Nutanix. E i bilanci sono sicuramente positivi. Da una parte, c’è la riconferma della presenza tra i Leader nel Magic Quadrant di Gartner nell’ambito delle infrastrutture iperconvergenti: il riconoscimento è di novembre 2019, e la società stessa ha ricordato di essere stata apprezzata in tutte le edizioni di questo Magic Quadrant. Dall’altra parte ci sono anche gli incoraggianti risultati del primo trimestre dell’anno fiscale 2020, resi noti a fine novembre, che rendono sempre più probabile il raggiungimento dell’obiettivo di arrivare alla fine dell’intero anno fiscale con una quota di fatturato derivante per il 75 per cento dagli abbonamenti, completando ulteriormente la trasformazione iniziata un paio d’anni fa dal fondatore e Ceo Dheeraj Pandey. 

Non solo iperconvergenza

Considerando anche il progredire di questa trasformazione, Alberto Filisetti, Country Manager di Nutanix Italia, ritiene “forse un po' limitante parlare di Nutanix solo in ambito iperconvergenza, anche se si tratta del business nel quale siamo nati, poco più di dieci anni fa. Però adesso le logiche sono diverse da quando abbiamo iniziato la nostra avventura, quando la nostra idea era quella di portare anche on premise la user experience del cloud".


alberto filisetti
Alberto Filisetti di Nutanix Italia
Però oggi lo scenario è diverso: "le aziende hanno capito che il modello cui erano abituate non era più sostenibile, soprattutto in ottica di digital transformation, in cui è l’IT aziendale che deve trainare il business e non esserne trainata. Poi sono nati i grandi cloud pubblici, che se hanno suscitato entusiasmi per la flessibilità e gli altri noti vantaggi, hanno anche fatto sorgere qualche perplessità, quando le aziende si sono rese conto che a volte non conviene economicamente, oppure non è l’approccio ideale se si deve guardare ad aspetti quali la compliance, la sicurezza o la latenza
, prosegue Filisetti.

Si parte dall’applicazione

È anche per questo che oggi “il cloud viene approcciato partendo dall’applicazione stessa, guardando soprattutto a un SaaS per le singole esigenze, per esempio per la posta elettronica o per un’applicazione di gestione HR”, fa notare Filisetti, spiegando che “l’on premise ha ancora molta ragione di esistere, tenendo in casa ciò che è più adatto, e di coesistere col cloud pubblico nell’hybrid cloud, dove l’orchestrazione delle applicazioni dall’uno all’altro è l’approccio vincente di oggi”. 

Queste considerazioni sono riflesse anche nelle risultanze della seconda edizione dell’Enterprise Cloud Index, ricerca globale condotta da Vanson Bourne intervistando 2.650 decision maker in ambito IT in 24 Paesi tra cui l’Italia. Su tutto, spicca il grande consenso verso il cloud ibrido: tre intervistati su quattro (il 73% globale e l’82% in Italia) hanno dichiarato di voler spostare alcune applicazioni dal cloud pubblico e tornare all'on-premise e, di questi, il 22% intende spostare cinque o più applicazioni. Tutto questo evidenzia, in parte, l’esigenza delle aziende della flessibilità del cloud ibrido per poter adattare le loro infrastrutture in base a necessità variabili nel tempo.  

Fiducia nell’ibrido

Non solo: la sicurezza continua a essere il fattore che maggiormente influisce sulle strategie future delle imprese in materia di cloud computing: il 60% degli intervistati (il 75% in Italia) del 2019 ha dichiarato che il livello di sicurezza del cloud è ciò che maggiormente influenza i loro piani futuri di adozione. Allo stesso modo, la sicurezza dei dati e la compliance rappresentano la principale variabile (26%) nel decidere dove eseguire un determinato carico di lavoro. È anche per questo che i decision maker dell’IT guardano con sempre maggiore fiducia al cloud ibrido: il 28% degli intervistati (il 41% in Italia) ha indicato l’ibrido come modello più sicuro, superando nettamente il 21% (19% in Italia) di chi ha scelto un modello di cloud privato on premise e più del doppio rispetto a chi (13% a livello globale, 10% in Italia) ha scelto data center privati (non cloud) tradizionali. Uno dei motivi di tutto ciò è che in questo modo le aziende possono scegliere il cloud più adatto ai loro requisiti di sicurezza.  

Rivedere i processi


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Christian Turcati di Nutanix Italia
La rilevanza dell’approccio hybrid è sottolineata anche da Christian Turcati, Senior System Engineer Manager di Nutanix Italia: “l’IT è diventato un freno quando ha cominciato a concentrarsi troppo sulle tecnologie e non sul business. Le tecnologie sofisticate sono utili, ma quando sono troppe si crea complessità. Oggi conta la flessibilità e la rapidità nel rilascio di nuovi servizi per il business. Per questo l’hybrid, che dà la stessa possibilità di controllo e di sicurezza, è l’approccio oggi vincente che permette di utilizzare i vantaggi del cloud sfruttando i servizi che servono al business”.

Ecco quindi che “oggi, con Nutanix, possiamo rivedere i processi aziendali per sfruttare al meglio quello che c’è sul mercato: i clienti capiscono le potenzialità e ci chiedono di accompagnarli nel loro percorso di trasformazione, perché non solo forniamo soluzioni specifiche, ma diamo anche servizi per capire dove è meglio mettere l’applicazione, cioè dove si può ottenere il beneficio massimo, che sia per l’applicazione stessa o per chi ne utilizza i servizi”, prosegue Turcati.
 

Due divisioni

In questo scenario, non sono però poche le aziende che devono ancora affacciarsi al cloud: nell’indagine di Nutanix, circa un quarto degli intervistati (il 23,5%) attualmente non utilizza alcuna tecnologia cloud. Tuttavia, i piani riferiti dagli intervistati indicano che entro un anno il numero di imprese che non utilizzano il cloud è destinato a scendere al 6,5% e tra due anni al 3%.

Rimangono comunque diverse motivazioni all’adozione del cloud tra i diversi ambiti, ovvero quello enterprise e quello delle PMI e delle startup: non a caso, Nutanix Italia si è strutturata con due divisioni, una dedicata al mercato enterprise, che lavora in maniera strategica su un numero di clienti ben delimitato, e una dedicata all’ambito Commercial, che opera più a contatto con i Partner per accompagnarli nel loro percorso verso i nuovi skill richiesti per affrontare al meglio i nuovi paradigmi.
 

Il ruolo del Canale


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Matteo Uva di Nutanix Italia
Alla guida di quest’ultima divisione è Matteo Uva, Sales Manager per il business Commercial di Nutanix Italia, che racconta come “due poli, enterprise e commercial, vengono mossi da un comune bisogno di minore complessità, ma per l’ambito PMI la scarsità di risorse interne rende molto più rilevante questo bisogno di semplicità, in quanto gestire le architetture a tre livelli, con storage, server e hypervisor non è certo alla portata di staff ridotti, spesso costituiti semplicemente da una persona, talvolta addirittura part-time. È qui che l’approccio “one click” di Nutanix con un unico strato software si rivela vincente”.

Il go-to-market di Nutanix è esclusivamente via Canale: “al centro della nostra strategia sono i partner, che ci stanno seguendo nel nostro percorso evolutivo dall’iperconvergenza all’hybrid cloud”, conferma Matteo Uva, spiegando che “continuiamo a differenziare i partner, individuando quelli che si occupano anche di nuovi modi di fare business come DevOps e Container o altro”. Infine, uno sguardo all’ecosistema del canale di Nutanix in Italia: i partner sono circa un centinaio, strutturati su tre livelli: “Master, che sono una decina, Scaler, circa 25, e infine i Pioneer, che è il livello di partenza, da cui si può salire in base al numero di deal e non più in base al fatturato come era alle origini”, conclude Matteo Uva.
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