▾ G11 Media: | ChannelCity | ImpresaCity | SecurityOpenLab | Italian Channel Awards | Italian Project Awards | Italian Security Awards | ...

Gestire l’impresa con cinque generazioni al lavoro: una questione strutturale, non anagrafica

SMI Group ha deciso di pensare il proprio posizionamento organizzativo, scegliendo di trasformare la ricorrenza del proprio decimo anniversario di attività in un’occasione concreta di riflessione sul “generation management” e sul modo in cui la tecnologia può abilitare – o compromettere – la coesione interna

Trasformazione Digitale

Che un’azienda oggi si trovi a integrare fino a cinque generazioni diverse non è più un’eccezione, ma una condizione sempre più frequente. Non si tratta solo di età anagrafiche diverse, ma di valori culturali, aspettative professionali, modalità di comunicazione e competenze digitali radicalmente differenti. È questo il punto di partenza da cui SMI Group ha deciso di pensare il proprio posizionamento organizzativo, scegliendo di trasformare la ricorrenza del proprio decimo anniversario di attività in un’occasione concreta di riflessione sul “generation management” e sul modo in cui la tecnologia può abilitare – o compromettere – la coesione interna.

Nel corso di un evento svoltosi a Roma lo scorso 23 maggio, l’azienda ha portato sul tavolo i nodi più attuali legati alla convivenza intergenerazionale nei luoghi di lavoro. E il titolo scelto per la giornata – “Il Valore del Dialogo tra Generazioni nell’Impresa del Futuro” – chiarisce da subito l’intento: non inseguire l’armonia artificiale, ma riconoscere le differenze, gestirle e trasformarle in risorsa.

Le generazioni chiedono cose diverse: tollerarsi non basta per funzionare

I dati disponibili confermano che lo scarto generazionale non è solo una percezione. La ricerca realizzata dall’Osservatorio HR Innovation Practice in collaborazione con Doxa evidenzia aspettative distanti, in particolare tra i più giovani – Millennial e Gen Z – e le generazioni precedenti. I primi attribuiscono grande importanza alla flessibilità operativa, al lavoro ibrido, alla sostenibilità e all’inclusione. Per molti di loro, la possibilità di lavorare da remoto è un requisito minimo, non un benefit. Tuttavia, l’engagement resta basso: solo il 13% si dice pienamente coinvolto nella propria attività lavorativa, mentre quasi la metà prevede di cambiare impiego nel prossimo futuro.

All’opposto, Baby Boomer e Gen X tendono a valorizzare maggiormente la stabilità, la sicurezza, l’organizzazione definita. Due visioni che, se non accompagnate, rischiano di collidere. La semplice convivenza genera frizioni silenziose: differenze nei linguaggi, nelle abitudini, nelle aspettative su carriera, feedback, strumenti digitali. E nessuna organizzazione può permettersi che queste tensioni si traducano in perdita di efficienza o disallineamento strategico.

La risposta non è adattarsi, ma costruire spazi strutturati di interazione

Per questo SMI Group ha deciso di affrontare il tema in modo esplicito e continuativo. Come ha spiegato il CEO Cesare Pizzuto, la direzione è chiara: “Crescere, evolvere, costruire qualcosa che duri nel tempo significa anche saper dare voce a chi ha fondato l’impresa e allo stesso tempo spazio a chi oggi porta nuove prospettive. Il dialogo tra generazioni è una risorsa strategica, non un ostacolo”.





Ma perché il dialogo diventi davvero leva organizzativa e non semplice invito retorico, servono strumenti. Tra quelli messi in campo da SMI Group, il reverse mentoring è forse il più emblematico: sono i giovani a formare i colleghi senior nell’utilizzo delle tecnologie emergenti. Una pratica che non ha nulla di estemporaneo, ma che si inserisce in percorsi strutturati di reskilling, programmi di Academy interna e team misti, costruiti per valorizzare in modo intenzionale le differenze, non solo per gestirle.

Il confronto attivato durante l’evento ha incluso anche i principali partner tecnologici dell’azienda – Oracle, OpenText, Stormshield e WatchGuard – che hanno contribuito a portare punti di vista concreti su come abilitare forme nuove di collaborazione nei contesti produttivi e nei team dislocati.

Intelligenza artificiale e culture aziendali: il problema non è solo tecnico

Oggi uno degli elementi più divisivi – ma anche potenzialmente unificanti – è l’intelligenza artificiale. Lo ha dimostrato un secondo momento di confronto che si è svolto nel corso della giornata, che ha affrontato il tema non in termini tecnici, ma culturali. Se mal gestita, l’AI può diventare un acceleratore di esclusione: chi non ha le competenze per comprenderla rischia di esserne travolto o marginalizzato. Al contrario, se adottata con criteri di trasparenza e governance, può diventare uno strumento per migliorare l’accessibilità, la produttività e la qualità del lavoro.

In questa direzione si muove la scelta di SMI Group di certificare i propri processi secondo la norma UNI CEI ISO/IEC 42001:2024 – prima realtà in Italia a farlo – in tema di gestione dell’intelligenza artificiale. Una certificazione rilasciata da ACCREDIA che rappresenta, nelle parole di Pizzuto, «non un traguardo, ma l’assunzione di una responsabilità: costruire un modello tecnologico che rispetti le persone, non che le travolga».

Anche per Stefano Tiburzi, Co-Founder & COO, la sfida non è solo tecnologica: “La tecnologia da sola non basta. Servono ascolto, collaborazione, formazione continua. La collaborazione tra generazioni non è un valore astratto. È una strategia reale. È quello che succede quando un neolaureato lavora fianco a fianco con un collega con trent’anni di esperienza e imparano entrambi qualcosa che non sapevano”.


Human-Tech: connettere competenze, non sostituirle

L’approccio di SMI Group è sintetizzato da Cinzia Mingiardi, Chief Marketing Officer, che ha introdotto il concetto di “Human-Tech” non come visione di facciata, ma come architettura culturale: “In SMI Group l’innovazione non è solo questione di tecnologie, ma soprattutto di relazioni. Il nostro obiettivo è costruire ambienti in cui si possa generare dialogo autentico tra competenze diverse. L’impresa del futuro sarà intergenerazionale o semplicemente non sarà”.


La tecnologia, in questa visione, non è una scorciatoia per semplificare, ma uno strumento per rafforzare la qualità delle interazioni tra le persone. È attraverso questi spazi di contaminazione – non solo nei workshop o negli eventi, ma nel quotidiano – che si costruisce un’organizzazione capace di affrontare le trasformazioni in atto.

Il messaggio è chiaro: non esiste una generazione migliore. Esistono differenze. E le differenze, se ignorate, diventano ostacoli. Se valorizzate, diventano risorsa. La vera sfida non è uniformare stili, atteggiamenti, aspettative, ma creare le condizioni per un’integrazione strutturale.
Accettare che servano linguaggi diversi, riconoscere che servano modi diversi di intendere il lavoro: perché la capacità di gestire questa complessità non è solo una questione di people management: è la condizione per costruire imprese più solide, più agili, più credibili.


Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato con le notizie di ImpresaCity.it iscriviti alla nostra Newsletter gratuita.
Abbonati alla rivista ImpresaCity Magazine e ricevi la tua copia.

Notizie correlate

Iscriviti alla nostra newsletter

Soluzioni B2B per il Mercato delle Imprese e per la Pubblica Amministrazione

Iscriviti alla newsletter