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Ma quale ritorno in ufficio: nelle aziende crescono accessi remoti e smart working

Mentre aumentano le imprese UE che fanno riunioni online e hanno sistemi aziendali utilizzabili da remoto, in Italia i lavoratori ibridi sono previsti in crescita, e negli USA le politiche return-to-office non funzionano

Trasformazione Digitale Mercato e Lavoro

Nell’Unione Europea nel 2024 il 52,9% delle imprese con 10 o più dipendenti ha svolto riunioni da remoto via Internet: una percentuale in aumento di quasi 3 punti rispetto al 2022. Lo dice Eurostat, secondo cui come sempre i paesi scandinavi trainano il gruppo (ben l’84,5% delle imprese finlandesi e il 79% delle svedesi fanno le riunioni in remoto), mentre all’altro estremo in Bulgaria, Ungheria, Lettonia e Romania solo un’impresa su tre utilizza le soluzioni di meeting online.

Quanto all’Italia, il nostro dato è sotto la media (48,2%) ma anch’esso in crescita rispetto al 44,3% di due anni fa.

Il trend più significativo è proprio l’aumento generalizzato della percentuale media rispetto a due anni fa, che sembra smentire le voci di declino dello “smart working” (espressione peraltro usata solo in Italia, all’estero si parla di remote o hybrid working) dopo il Covid.

A quanto pare, i cambiamenti introdotti nei modelli di lavoro durante la pandemia stanno almeno parzialmente resistendo alle varie ondate di politiche “return to office” (RTO). Politiche che sono state più o meno imposte da tantissime imprese in questi ultimi tre anni, comprese molte di quelle “Big Tech” che nel 2020 e 2021 avevano fatto enormi profitti proprio grazie alla corsa allo smart working provocata dai lockdown.

Un'impresa italiana su 2 dà accesso remoto a email, documenti e software gestionali

La “resistenza” dello smart working è confermata da altri dati Eurostat, che approfondiscono la disponibilità nelle imprese dell’accesso remoto per il personale a 3 tipi di risorse aziendali: il sistema di posta elettronica, i documenti, e le applicazioni di business ed enterprise.

Nel 2024, nella UE, 6 imprese su 10 (60,2%) con 10 o più dipendenti offrivano tutti e 3 i tipi di accesso remoto al proprio personale. In Italia la percentuale è di oltre 10 punti inferiore (49%), ma sia la media UE, sia il dato italiano sono in crescita di circa il 3% rispetto al 2022.

A livello europeo, ovviamente il dato è molto alto nel segmento grandi imprese - il 92% delle realtà con 250 o più dipendenti offre tutti e 3 i tipi di accesso remoto ai propri dipendenti – mentre è del 78% per le medie imprese (da 50 a 249 dipendenti) e del 56% per le piccole imprese (da 10 a 49 dipendenti).

Distinguendo invece per tipologia di accesso, quello all’email è il dato più alto per tutte le dimensioni di imprese, segue l’accesso ai documenti e infine l’accesso alle applicazioni business ed enterprise.

In Italia lo smart working nel 2025 aumenterà del 5%

Un’altra conferma che il lavoro da remoto non è in declino, in questo caso specificamente in Italia, viene dal più recente Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano.

Nonostante lo stop a tutte le misure di Smart Working semplificato, che obbligavano i datori di lavoro a consentire il lavoro da remoto ad alcune categorie, il numero di “lavoratori agili” nel 2024 in Italia è rimasto sostanzialmente stabile: 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023 (-0,8%).

In media nel nostro paese il numero di giorni di lavoro da remoto a disposizione di queste categorie di lavoratori è di 9 giorni al mese nelle grandi imprese, 7 giorni nella PA e 6,6 nelle PMI.

Il numero di smart worker è aumentato nelle grandi imprese (1,91 milioni di lavoratori, +1,6% sul 2023), tornando quasi ai livelli del picco della pandemia: il 96% delle grandi organizzazioni oggi ha in corso iniziative di smart working. Cala invece nelle PMI (dai 570mila lavoratori dell’anno scorso a 520 mila), e resta stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024, 515mila nel 2023).

Ma nel 2025 addirittura si prevede un aumento generalizzato del 5% del numero di “smart worker” in Italia, che arriverebbero a quota 3,75 milioni. Praticamente tutte le grandi imprese italiane prevedono di mantenere lo Smart Working anche in futuro, e una su 3 (e il 43% degli enti pubblici) aumenterà il numero di dipendenti coinvolti.

Secondo l’Osservatorio il 73% dei lavoratori agili si opporrebbe se la propria azienda eliminasse lo Smart Working: il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro, il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro.

Ma soprattutto, tra chi è tornato in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, mentre il 23% ha una nuova mansione non svolgibile da remoto, e la maggioranza (58%) ha subìto una decisione presa dall’azienda.

USA, le politiche RTO non funzionano

Anche dall’altra parte dell’oceano arrivano conferme: le politiche di ritorno in ufficio (return to office, RTO) negli USA non funzionano.

Come spiega in un post James L. McQuivey, VP e Research Director di Forrester Research, citando il rapporto "The Facts About Hybrid Work Policy In 2025" della società di ricerca, in media negli USA ai dipendenti in hybrid work oggi vengono concessi 2,1 giorni a settimana per lavorare da remoto: solo pochi anni fa erano oltre 3 alla settimana. Eppure, nella realtà quotidiana, il numero di giorni in cui le persone lavorano effettivamente da remoto non è cambiato in modo significativo da fine 2022.

Insomma le politiche RTO negli ultimi anni sono state inasprite, ma non vengono rispettate. E secondo Forrester il trend continuerà, perché in gran parte questi cambiamenti non sono stati accompagnati da politiche di “enforcement”, per giustificarli e renderli appetibili agli occhi dei dipendenti coinvolti.

I manager ostinati e determinati a vedere più dipendenti in ufficio per più giorni a settimana reagiranno istintivamente riducendo ulteriormente la flessibilità, convinti che se alcuni “fannulloni” se ne andranno, l'azienda potrà riorganizzarsi attorno ai suoi dipendenti più performanti. Sfortunatamente per loro, come dimostriamo chiaramente nel nostro report, nulla di tutto ciò è vero”, scrive McQuivey.

“La produttività non migliora, e in alcuni casi peggiora, quando le persone sono costrette a lavorare in ufficio. Secondo un'analisi dell'University of Pittsburgh su oltre 3 milioni di lavoratori nei settori tecnologia e finanza, le persone che lasciano il lavoro dopo cambiamenti nelle politiche di hybrid work sono proprio le più qualificate e quelle con le prestazioni più alte”.

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