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Cosa vuole fare il Chips Act europeo

Parte la European Chips Strategy, una strategia trasversale per favorire tutto il mercato UE dei semiconduttori

Tecnologie

Alla fine, il tanto atteso Chips Act dell'Unione Europea è arrivato: una strategia e un piano di investimenti chiari per stimolare il mercato europeo dell'elettronica nel suo complesso e in maniera coordinata. Ciò che le singole nazioni possono fare da sole non è abbastanza, un piano UE era ormai improrogabile.

Intendiamoci, nemmeno il Chips Act mette in campo cifre tali da rivoluzionare di colpo il mercato. Bruxelles parla di 43 miliardi di euro in investimenti sbloccati dall'iniziativa, da qui al 2027. Ma dal bilancio UE in effetti ne vengono solo 3,3: il resto deve arrivare dall'effetto-volano dei progetti di partenariato, definiti nello stile dei Joint Undertaking che sono stati già applicati in diversi settori tecnologici.

Il valore principale del Chips Act sta nell'approccio strategico con cui porta l'Europa ad affrontare lo sviluppo del mercato dei chip. C'è un gap produttivo da colmare - il famoso passaggio, entro il 2030, dal 10% ad almeno il 20% della produzione globale - e non lo si può fare se non agendo in maniera comunitaria. Allo stesso modo, delinea un approccio comune europeo nell'affrontare le possibili future crisi delle supply chain dei semiconduttori.

Per tutto questo, il Chips Act è un insieme di iniziative complementari che partono da un duplice assunto. In primo luogo, la constatazione che semiconduttori e chip sono essenziali per il funzionamento dell'economia. In questo scenario l'Europa è brava a fare ricerca ma non traduce questa capacità in un vero vantaggio commerciale.

L'altro assunto è che i semiconduttori sono sempre più "al centro di forti interessi geostrategici e al centro di una gara tecnologica globale". Ogni nazione vuole assicurarsi sia una disponibilità adeguata di prodotti e componenti, sia una posizione di rilievo nello sviluppo di nuove tecnologie. In questo scenario, l'Europa è genericamente indietro e rischia di fallire entrambi gli obiettivi.

Per affrontare tutto questo, serve una "European Chips Strategy", ossia un piano europeo articolato intorno a diversi temi: fare ricerca applicata, aumentare la produzione locale, sviluppare competenze, aiutare le aziende europee di settore.

Il compito principale della European Chips Strategy è ovviamente potenziare la capacità produttiva europea, sviluppando nuove linee di produzione e rafforzando quelle esistenti, concentrando gli sforzi e le risorse dove il mercato promette di svilupparsi, non dove è già consolidato. Una partita non semplice, in cui il Chips Act vuole mettere in campo due tipi di giocatori: le Integrated Production Facility e le Open EU Foundry, che avranno accesso prioritario a qualsiasi risorsa tecnica sviluppata secondo le nuove strategie europee.

Tra IPF e Open EU Foundry

Le Integrated Production Facility sono strutture di progettazione e produzione di chip e semiconduttori, specializzate nella parte definita di front-end (la produzione in sé dei semiconduttori) o in quella di back-end (le attività accessorie come il packaging o il testing) o anche in entrambe. Le Open EU Foundry sono impianti simili, ma dedicati solo alla produzione di semiconduttori per conto terzi.

Entrambe le classi di strutture devono essere situate all'interno della UE e contribuire alla certezza delle forniture di semiconduttori per le nazioni europee. Devono essere anche "first-of-a-kind facility": impianti industriali di un tipo che, per tecnologie adottate o semiconduttori prodotti, non è già presente "in maniera sostanziale" all'interno dell'Unione Europea.

Il meccanismo del Chips Act è semplice. Un'azienda propone il progetto di un impianto indicando che ha i requisiti di Integrated Production Facility o di Open EU Foundry. Le autorità europee lo valutano e decidono se effettivamente questa qualifica va assegnata. In caso positivo, il progetto entra in una corsia preferenziale che ne agevola sensibilmente la realizzazione, in particolare con l'accesso a investimenti pubblici.

Parte del Chips Act ha l'obiettivo di evitare crisi nell'approvvigionamento di semiconduttori. Perciò la UE vuole attivare un sistema di monitoraggio costante della domanda e del funzionamento delle supply chain dei semiconduttori in ogni Stato membro. A seconda dei segnali che riceve, la Commissione Europea può attivare uno stato di crisi per il mercato.

In questo scenario la UE può chiedere alle singole aziende della supply chain di dare informazioni precise sullo stato delle loro capacità produttive. In base anche a questi dati, indica alle Integrated Production Facility e alle Open EU Foundry verso quali tipi di prodotti indirizzare la loro produzione, in modo da contenere la specifica crisi.

Potenziare la ricerca

Lato ricerca, la strategia delineata nel Chips Act prevede di mettere a fattor comune le esperienze e le risorse che già ci sono e di svilupparne di nuove. Questi sviluppi in particolare saranno indirizzati verso segmenti di mercato innovativi, possibilmente open source (il riferimento è al mondo Risc-V) e in sinergia con le politiche di innovazione, digitalizzazione e "green" già in atto.

Le competenze sviluppate nel campo dell'elettronica avanzata saranno condivise attraverso una rete di competence center a cui potranno accedere anche le aziende utenti e le startup tecnologiche. Questi centri serviranno tra l'altro a limitare i problemi di skill shortage, attraverso attività di formazione, upskilling e reskilling.

Per favorire innovazione e ricerca servono però anche fondi. E se i grandi vendor non mancano di risorse, i nuovi entranti (startup, scaleup, PMI innovative) hanno più di qualche problema a reperirle. Perciò il Chips Act prevede una serie di iniziative per facilitare l'accesso ai capitali. Combinate, prendono il nome di Chips Fund: rientrano nel raggio d'azione del fondo InvestEU e prevedono lo stanziamento di fondi UE che attraggano ulteriori investimenti privati.

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