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Alla ricerca del cloud europeo

Il ruolo dell'Europa nel mercato cloud è marginale, non bastano le normative per dare impulso a un settore strategico sempre in forte ritardo

Cloud

Guardando al mercato europeo del cloud si notano due dinamiche chiare: trimestre dopo trimestre, il volume complessivo del mercato cresce più che linearmente mentre la quota di questo mercato conquistata dai cloud provider europei diminuisce un po' meno che linearmente. Detta in modo più chiaro: la quota del mercato cloud dei provider europei cresce sì, ma poco e comunque molto meno del mercato complessivo. Così la fetta maggiore dello sviluppo del settore resta in mano ai grandi hyperscaler statunitensi.

La constatazione non è nuova e non si può nemmeno affermare che i provider europei non stiano provando a fare il loro lavoro. Anzi, se è per quello sono discretamente attivi. E non si può negare, a loro discolpa, che il mondo cloud abbia questioni concorrenziali anche serie da risolvere. La questione però è anche tecnologica, e lo è sempre di più. Se il futuro del cloud è un passaggio progressivo al modello cloud-native, di spazio di manovra per i provider europei - per come sono messi ora - ce ne sarà sempre meno.

Lo spirito del cloud-native è che il generico utente debba solo preoccuparsi di sviluppare i propri servizi e applicazioni, lasciando tutta la parte sottostante alle componenti IaaS e PaaS fornite via cloud. Infatti, gli hyperscaler offrono un nutrito menu di componenti e servizi assemblabili quasi a piacimento, soprattutto in maniera automatica e teoricamente scalabile a piacere (lasciamo libero tutto questo di crescere e poi la bolletta a fine mese sarà da capogiro, ma non è questo il punto).

Se si guarda all'offerta dei cloud provider europei, invece, si nota una parte solida di offerta server-infrastrutturale - spesso anche economicamente più vantaggiosa rispetto agli hyperscaler - ma man mano che si cresce nello stack del modello cloud-native l'offerta appare meno convincente. Soprattutto, l'impressione che viene dalle esperienze degli utenti è che manchino funzioni di automazione davvero integrate per tutto lo stack e che la capacità di scalare sia molto minore.

Per usare una metafora non troppo originale, gli hyperscaler sono diventati l'analogo cloud di una Ikea: offrono di tutto, per tutti, con una supply chain estremamente ottimizzata. I cloud provider europei sono più negozi di arredamento, con magari prodotti anche migliori ma un'offerta più limitata e che richiede un certo sforzo per essere combinata in modo opportuno.

Non è un caso che una volta affermata Ikea non ne siano nate altre paragonabili. Nessun cloud provider europeo ha la massa critica di un hyperscaler e questo gap non è colmabile, allo stato attuale: porsi illusioni in questo senso è pericoloso per l'Europa. Il gap rischia anzi di ampliarsi perché massa critica significa anche capacità di investimenti in ricerca tecnologica di base e sviluppo. Tanto per fare un paio di esempi, AWS si fa i suoi chip per l'AI e l'indispensabile Kubernetes viene da Google.

L'unica alternativa che il comparto europeo ha è fare sinergia per sviluppare uno o più meta-provider europei che mettano a fattor comune risorse, esperienze, specificità. Una sorta di Airbus del cloud, per citare un esempio vincente di collaborazione europea. Gaia-X era nata per questo ma è diventata in fretta un carrozzone praticamente inutile. Nè possiamo pensare di arrivare ad un cloud europeo solido solo a colpi di normative sulla data sovereignty, sul Digital Single Market o sul procurement cloud delle PA. O su una combinazione di IPCEI scollegati fra loro. Tutte cose sacrosante, per carità, ma non bastano: hanno tempi lunghi e ognuno le vede a modo suo.

Nella migliore - davvero - tradizione europea serve una combinazione equilibrata di normative e mercato, di guida UE e di autonomia dei singoli Stati e operatori. E serve una strategia concreta, nata da una vera presa di coscienza di dove sta andando il cloud europeo e di dove vorrebbe arrivare. Solo che non la si vede.

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