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IDC Future of Work 2023: definire il “purpose” del rapporto tra azienda e risorsa

L’azienda people centric ha bisogno di un patto strategico con la società.

Mercato e Lavoro

All’IDC Future of Work 2023 si introduce il termine “purpose” (scopo, finalità). Un fine comune ad azienda e risorsa, che implica un rapporto più profondo, da costruire dalla fase di attrazione fino alla continua “coltivazione” del dipendente. I dati della Employee FoW Survey 2023, riferiti alla sola Italia e presentati da Roberta Bigliani, group VP, Head of Insights and Future of Work Practice Executive Lead di IDC, non riscrivono la narrazione che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte. Ed è evidente il concorso di colpa: aziende e risorse umane sono ugualmente responsabili della “great resignation”.

Da una parte c’è la risorsa che, nel nostro Paese, chiede di rivedere i salari d’ingresso (47%), ma cerca anche una cultura aziendale migliore (35%), qualsiasi cosa voglia dire. E, intanto, un italiano su 4 è alla ricerca di un nuovo lavoro e uno su dieci lo ha appena cambiato. D’altra parte, le aziende soffrono: una su due sta pagando l’impatto della “great resignation”. In Italia, l’86% lamenta la difficoltà a reclutare talenti, ed è dal “perché” che emerge la keyword introdotta da IDC.

Andando oltre la prima motivazione – la solita mancanza di talenti con gli skill giusti – le altre parlano di “non incontrare le aspettative in termini di modello di lavoro flessibile” o delle “altre aziende che sono più brave ad attrarre talenti, indipendentemente dal salario o dalle opportunità di lavoro flessibile”.

Rivedere totalmente la cultura aziendale

Si parla dunque di matching tra azienda e risorsa, che presuppone un dialogo, un’interazione, prima del recruiting e durante la convivenza in azienda, e di una capacità di attrazione indipendente da salario e hybrid work. Semplificando, la questione rientra all’interno della componente Culture che, con Augmentation e Space, rappresentano le tre macrocategorie di servizi e tecnologie Future of Work di IDC.

Prima della tecnologia, prima degli strumenti e delle strategie per eliminare, o almeno ridurre, la disparità tra chi lavora in sede e chi lavora da remoto, l’impressione è che, ancora una volta, sia la cultura aziendale a dover essere totalmente ripensata. Considerando, appunto, il “purpose”.

Si tratta di costruire un patto tra azienda e talento e, più in generale, tra azienda e società. Un patto, che non sia un’imposizione, ma una dichiarazione d’intenti paritaria. Ma prima di tutto, l’azienda deve farsi e rispondere ad alcune domande. Troppo semplice, e comunque sbagliato, imputare la “great resignation” ai talenti che non si trovano, alla concorrenza o a fattori esterni. È necessario guardarsi dentro.

Manager, fatti due domande

Com’è l’ambiente di lavoro nella mia azienda? Quali sono le azioni che la rendono attrattiva (pensando al marketing)? Cosa è prioritario tra il business e le persone? Quanto ho investito in tecnologia e servizi per le persone, in sede e da remoto? Ma, soprattutto, qual è il traguardo comune del percorso che l’azienda è il singolo dipendente svolgono insieme? Qual è il purpose, appunto.

Sono queste le domande che il management dovrebbe porsi e, dopo aver risposto, è il momento di costruire una nuova strategia people-centric, e di sfruttare la tecnologia giusta per raggiungere gli obiettivi. Una tecnologia per un nuovo spazio di lavoro, indipendente dal luogo fisico, a supporto dei devices, che abiliti l’automazione di processo. O, ancora, piattaforme per il training costante, modelli di supporto IT e per la protezione, delle risorse e dell’infrastruttura.

Per tutto questo la tecnologia è disponibile, basta volerla (acquistare). È forse il momento di rivedere al rialzo la quota di investimento da riservare alla componente Culture, ora ferma al 5% del totale della spesa FoW (Future of Work).

Inoltre, è difficile che un’azienda, per quanto grande e strutturata, possa fare la rivoluzione da sola. Proprio per questo il comparto della consulenza aziendale si dimostra in salute come non mai. Sembra mandatorio farsi aiutare da team specializzati che, secondo un modello abbastanza standard, prendano possesso dell’azienda, ne studino dinamiche, flussi e modelli dello stato dell’arte, per poi rivederli e ricostruirli, con l’aiuto di tanta tecnologia.

Una ricostruzione che deve partire da un cambio radicale di paradigma, il cui primo assioma è anche il più difficile da far digerire a un management spesso troppo ancorato a dinamiche passate. La crescita del business in azienda, è dimostrato da decine di ricerche e analisi, deve essere definitivamente imputato alle persone e non al prodotto o al servizio.

D’altronde, viviamo un’economia anch’essa people centric, in cui il successo si raggiunge se si coltiva e si sviluppa un rapporto intelligente e proficuo con tutti gli stakeholder aziendali (consumatori, partner di filiera e risorse interne) e non per merito di un prodotto o di un servizio disruptive, ammesso che ne esista ancora uno. Se non si comprende che è necessario spostare il focus strategico, nessuno sforzo e nessun investimento porterà benefici.

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