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IA e lavoro: 6 Italiani su 10 la usano, ma emerge un "senso di colpa"

Secondo una ricerca di Babbel for Business commissionata a Censuswide, l’89% dei lavoratori GenZer utilizza l’AI. Tra i compiti linguistici affidati più spesso all’AI figurano le traduzioni (38%), le correzioni grammaticali (37%) e la riformulazione di testi (36%).

Mercato e Lavoro

L’intelligenza artificiale è sempre più diffusa nel mondo del lavoro in Italia: oltre 6 dipendenti su 10 (62%) dichiarano di utilizzarla mentre lavorano, percentuale che varia tuttavia sensibilmente tra le diverse generazioni. Se infatti tra i Baby Boomer il 64% afferma di non farne mai uso, la Gen Z registra un’adozione capillare, con l’89% che rivela di servirsene regolarmente e, di questi, oltre un quinto (22%) di impiegarla tutti i giorni tanto da considerarla un vero e proprio “partner” di lavoro.

Questi sono solo alcuni dei dati che emergono dalla ricerca condotta da Babbel for Business, soluzione per la formazione linguistica aziendale, e dall’istituto di ricerca Censuswide. L’indagine ha esplorato come e quanto l’AI stia entrando nel mondo del lavoro trasformando la quotidianità professionale, sia che si tratti del suo inserimento nelle mansioni quotidiane con un impatto sulla produttività sia che si consideri la sua influenza su aspetti etici e psicologici, come i sensi di colpa legati all'impiego di queste tecnologie all’interno della propria azienda.

Le attività più richieste all’AI: spiccano creatività, analisi e competenze linguistiche

Tra le principali attività lavorative per le quali viene impiegata l’intelligenza artificiale, al primo posto si posiziona la creazione di contenuti (32%), un dato che riflette non solo il crescente riconoscimento delle sue potenzialità, ma anche la tendenza, in molti casi, a cercare soluzioni rapide e a costo zero per rispondere alla pressione di realizzare attività creative in tempi sempre più stretti. Seguono l’analisi dei dati e la reportistica (25%) e, al terzo posto, le attività linguistiche e di comunicazione (24%), un ambito in cui l’uso dell’intelligenza artificiale è particolarmente diffuso: il 26% dei professionisti che lavorano con le lingue straniere la utilizza, infatti, quotidianamente. Tra i compiti linguistici affidati più spesso all’AI figurano le traduzioni (38%), le correzioni grammaticali (37%) e la riformulazione di testi per adeguarne stile e tono (36%).

Secondo i rispondenti che lavorano, in caso di mancanza di competenze linguistiche nell’ambito professionale, gli strumenti tecnologici automatizzati possono fare la differenza, supportando in diverse attività: in primis la traduzione dei contenuti (40%), seguita dalla localizzazione di testi come i post per i social media (31%) e la redazione di contenuti direttamente in lingua (31%).

Un altro dato significativo riguarda la fiducia nelle traduzioni automatizzate: la metà degli italiani (51%) dichiara di fidarsi “abbastanza” di questi strumenti, una quota che raggiunge il 59% tra coloro che utilizzano regolarmente una lingua straniera nella propria azienda. Questo dato evidenzia il fatto che chi ha maggiore familiarità con le lingue sembra riconoscere la qualità del supporto offerto dall’AI o possiede comunque le conoscenze, e una marcia in più, per poter fare un controllo sull’attendibilità.

Intelligenza artificiale e produttività: formazione, efficienza e nuove abitudini di lavoro

Dalla ricerca emerge poi che tra chi utilizza l’intelligenza artificiale nel proprio lavoro, il 54% ha ricevuto un training specifico; di questi rispondenti, il 27% ha seguito la formazione direttamente all’interno della propria azienda, una percentuale che sale al 32% sia tra i Millennial sia tra chi utilizza una lingua straniera in ambito lavorativo.

L’85% degli italiani che utilizzano l’AI nel proprio lavoro riconosce poi un impatto positivo degli strumenti automatizzati sulla propria produttività. Un elemento particolarmente curioso coinvolge le fasce d’età più mature: oltre 9 persone su 10 (94%) tra i Baby Boomer che impiegano l’AI nel proprio lavoro segnalano un miglioramento della produttività, nonostante appartengano alla generazione meno propensa all’adozione di questi strumenti. Superato lo scetticismo, chi inizia ad utilizzarla percepisce, infatti, benefici ancora più evidenti rispetto alle coorti più giovani.

Un ulteriore aspetto interessante riguarda che 8 lavoratori italiani su 10 (81%) affermano che l’intelligenza artificiale ha cambiato il proprio modo di lavorare; in particolare, il 29% ha riscontrato effetti nel modo di relazionarsi con colleghi e clienti. Poco meno di un quarto dei rispondenti (24%) sostiene, tuttavia, che l’intelligenza artificiale ha modificato solo parzialmente le attività lavorative quotidiane tanto che preferiscono ancora affiancarla a metodi più “tradizionali”.

Come commenta l’esperta di Babbel, si osserva come l’AI stia già influenzando le carriere professionali in Italia, con il 23% degli italiani che utilizza l’AI nella propria attività professionale che ne riconosce un impatto significativo e il 36% che è fiducioso che l’AI possa portare benefici positivi a lungo termine. Per questo l’integrazione dell’AI nelle soluzioni di apprendimento delle lingue può aiutare gli studenti a restare un passo avanti in un mondo in continua evoluzione.

“Sensi di colpa da AI” per più della metà degli italiani sul posto di lavoro

Il 57% degli italiani che utilizza l’AI nel proprio lavoro afferma di provare un senso di colpa quando fa ricorso all’intelligenza artificiale per svolgere attività professionali, contro il 41% che dichiara di non sentirsi mai in colpa e una quota residuale di rispondenti che non si è mai interrogata su questo aspetto.

Le generazioni più giovani che utilizzano l’AI sul lavoro sono le più sensibili al tema: il 79% della Gen Z ammette di provare questo disagio, con il 32% che lo percepisce occasionalmente. Anche tra i Millennial il fenomeno è significativo, con il 64% che prova un senso di colpa e, tra questi, il 20% che lo sperimenta spesso. Al contrario, tra i Baby Boomer, prevale una maggiore indifferenza, con più della metà (62%) che afferma di non sentirsi mai in colpa.

Il rimorso tra le fasce d’età più basse potrebbe derivare da pressioni sociali (come il timore di perdere skill personali o di affidarsi troppo alla tecnologia), ma anche da una maggiore consapevolezza dei possibili impatti dell’AI su aspetti come privacy, originalità dei contenuti o trasparenza dei processi.

Dal tech alle risorse umane: la classifica dei settori più “AI-friendly”

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale sul posto di lavoro varia sensibilmente a seconda del settore. In cima alla classifica si posizionano l’IT e le telecomunicazioni, dove ben l’84% dei professionisti dichiara di impiegarla. Seguono le risorse umane (72%), le aree vendite, media e marketing (70%), e la logistica (61%), quasi a pari merito con il settore retail, catering & leisure (60%). Fuori dalla top 5 dei settori per un soffio, anche nel comparto manifatturiero e delle utilities l’adozione è significativa (59%), mentre il settore healthcare si attesta su percentuali più contenute, con il 49% degli operatori che afferma di utilizzare strumenti di AI nel proprio lavoro quotidiano.

Secondo i rispondenti lavoratori, quando mancano competenze linguistiche in ambito professionale, l’intelligenza artificiale è un ottimo “alleato”, con priorità differenti a seconda del settore. Più specificatamente, nei settori healthcare (37%), manifatturiero (49%), retail (38%) e vendite, media e marketing (41%) prevale il riconoscimento del potenziale dell’AI per la traduzione di contenuti; nel settore logistico risulta invece particolarmente utile per la localizzazione di testi di marketing, o di contenuti per i post per i social (38%), mentre nel mondo IT spicca la possibilità di redigere codici direttamente in lingua (47%). Infine, per le risorse umane, si riconosce soprattutto la potenzialità per la creazione o revisione di contenuti di marketing (44%).

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