La Cgia di Mestre evidenzia come le micro e piccole imprese italiane con meno di 5 milioni di euro di fatturato - costituite prevalentemente da artigiani, piccoli commercianti e partite Iva – nel 2019 hanno versato 21,3 miliardi di euro di imposte erariali1 in più rispetto alle web companies presenti in Italia.
Due anni fa, infatti, l’aggregato delle controllate appartenenti al settore del WebSoft ha registrato un giro d’affari nel nostro Paese di 7,8 miliardi di euro; il numero di addetti occupati in queste realtà era di oltre 11 mila unità, mentre al fisco italiano hanno versato solo 154 milioni di euro.
Nello stesso anno, invece, il popolo delle partite Iva, con meno di 5 milioni di fatturato, ha generato un fatturato di 814,2 miliardi e il contributo fiscale giunto all’erario da queste 3,3 milioni di piccole realtà è stato di 21,4 miliardi di euro: un importo di circa 140 volte superiore al gettito versato dalle multinazionali del web.
Grazie al boom del commercio elettronico in questi ultimi 15 mesi le multinazionali del web presenti in Italia hanno aumentato ulteriormente i ricavi, mentre la grandissima parte delle micro e piccole imprese ha subito una contrazione degli incassi molto preoccupante. Pertanto, se ai primi il peso delle tasse continua a rimanere modesto, ai secondi il carico fiscale ha raggiunto livelli non più sopportabili, che nemmeno le misure anti Covid, approvate fino adesso, hanno contribuito ad alleviare.
Se il livello medio di tassazione di queste big tech è, secondo l’Area studi di Mediobanca, al 32,1 per cento, nelle nostre piccolissime realtà si aggira attorno al 60 per cento: praticamente quasi il doppio. "Ora, nessuno chiede un inasprimento del carico fiscale nei confronti delle grandi imprese del web, ci mancherebbe, semmai è necessario abbassare drasticamente il peso delle tasse sulle piccole attività che, ancora oggi, rimane su livelli insopportabili" conclude la Cgia..