Lo sgravio contributivo di 4.000 euro l’anno, previsto nel nuovo pacchetto di misure allo studio del governo, copre solo il 10% del costo del lavoro, per ciascun dipendente, a carico delle aziende.
Senza le adeguate misure a supporto delle aziende, al termine del blocco dei licenziamenti si potrebbe creare una drammatica emorragia occupazionale che potrebbe far saltare tra i 300.000 e i 600.000 posti di lavoro. E il contratto di rioccupazione, che dovrebbe trovare spazio nel prossimo decreto “sostegni bis”, non basta ad arginare la inevitabile e significativa perdita di occupazione. È quanto denuncia il Centro studi di Unimpresa, secondo cui le ulteriori posizioni lavorative a rischio si aggiungerebbero ai 945.000 posti già persi durante questo primo anno di pandemia da Covid e porterebbero il totale a oltre 1,5 milioni di posti di lavoro persi. Secondo i calcoli del Centro studi di Unimpresa, le nuove norme del decreto “sostegni bis” garantirebbero alle imprese uno sgravio contributivo pari a 4.000 euro per ciascun lavoratore non licenziato dopo il “blocco Covid”, cifra che copre circa il 10% del costo medio che una azienda paga per ciascun dipendente, pari, in media, a 39.000 euro l’anno tra retribuzione (diretta, indiretta e differita) e contributi. Costo che sale a 273.000 euro se si prende in considerazione la “vita” media di un lavoratore in una azienda, pari a 7 anni. «La speranza è che il pacchetto di misure sul lavoro previsto nel prossimo decreto ristori bis non si traduca in un ennesimo “pacco” per le aziende. Questa è davvero l’ultima occasione per bloccare l’ennesima ed ancora una volta annunciata emorragia post blocco licenziamenti» commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi. «Occorrono interventi a forte impatto sui bilanci delle aziende, chiamate, in questo periodo di grande incertezza, a decidere di mantenere i propri livelli occupazionali non licenziando ed addirittura a provare ad incrementare i propri organici assumendo nuove risorse. Con interventi importanti si potrebbero far rientrare nel mondo di lavoro tutti quei lavoratori espulsi da particolari settori merceologici che più di altri hanno risentito della pandemia, magari investendo su una riconversione ed una formazione degli stessi» aggiunge Assi.
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