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Crolla l’artigianato: -165 mila imprese in 10 anni

Il settore artigiano più colpito dalla crisi è stato l’autotrasporto (-22,2 per cento). Sono in forte aumento, invece, le imprese di produzione software (+24,6 per cento).

Mercato e Lavoro
L’emorragia delle imprese artigiane continua. Se nell’ultimo anno (2018 su 2017) lo stock complessivo presente in Italia è sceso di oltre 16.300 unità (-1,2 per cento), negli ultimi 10 anni, invece, la contrazione è stata pesantissima: -165.500 attività (-11,3 per cento). Una caduta che non ha registrato soluzioni di continuità in tutto l’arco temporale analizzato (2018-2009). Al 31 dicembre scorso, invece, il numero totale delle imprese artigiane attive in Italia si è attestato poco sopra 1.300.000 unità. Di queste, il 37,7 per cento nell’edilizia, il 33,2 per cento nei servizi, il 22,9 per cento opera nel settore produttivo e il 6,2 per cento nei trasporti. L’analisi è stata realizzata dalla CGIA.
“La caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l’aumento della pressione fiscale e l’esplosione del costo degli affitti hanno spinto fuori mercato molte attività – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – senza contare che l’avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale. Ma oltre al danno economico causato da queste chiusure, c’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da segnalare. Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, si perdono conoscenze e cultura del lavoro difficilmente recuperabili e la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. Altresì, c’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale”.
A livello territoriale è il Mezzogiorno la macro area dove la caduta è stata maggiore. Tra il 2009 e il 2018 in Sardegna la diminuzione del numero di imprese artigiane attive è stata del 18 per cento (-7.664).
Seguono l’Abruzzo con una contrazione del 17,2 per cento (-6.220), l’Umbria, che comunque è riconducibile alla ripartizione geografica del Centro, con - 15,3 per cento (-3.733), la Basilicata con il 15,1 per cento (-1.808) e la Sicilia, sempre con il -15,1 per cento, che ha perso 12.747 attività. Nell’ultimo anno, invece, la regione meno virtuosa d’Italia è stata la Basilicata con una diminuzione dello stock dell’1,9 per cento.
“Il 57 per cento della contrazione delle imprese artigiane registrata in questi ultimi 10 anni – fa notare il segretario della CGIA Renato Mason – riguarda attività legate al comparto casa. Edili, lattonieri, posatori, dipintori, elettricisti, idraulici, etc. stanno vivendo anni difficili e molti sono stati costretti a gettare la spugna. La crisi del settore e la caduta verticale dei consumi delle famiglie sono stati letali. Certo, molte altre professioni artigiane, soprattutto legate al mondo del design, del web, della comunicazione, si stanno imponendo. Purtroppo, le profonde trasformazioni in atto stanno cancellando molti mestieri che hanno caratterizzato la storia dell’artigianato e la vita di molti quartieri e città”.
Il settore artigiano più colpito dalla crisi è stato l’autotrasporto che negli ultimi 10 anni ha perso 22.847 imprese (-22,2 per cento).
Seguono le attività manifatturiere con una riduzione pari a 58.027 unità (- 16,3 per cento) e l’edilizia che ha visto crollare il numero delle imprese di 94.330 unità (-16,2 per cento). Sono in forte aumento, invece, imprese di pulizia, giardinaggio e servizi alle imprese (+43,2 per cento), attività cinematografiche e produzione software (+24,6 per cento) e magazzinaggio e corrieri (+12,3 per cento).
Tra le aziende del settore produttivo quelle più in difficoltà sono state quelle che producono macchinari (-36,1 per cento), computer/elettronica (-33,8 per cento) e i produttori di mezzi di trasporto (-31,8 per cento) (vedi Tab. 4).
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