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Red Hat: l'automazione è il salto di qualità dei datacenter

Il modello cloud porta vantaggi noti come la flessibilità e la scalabilità, per Red Hat aggiungere l'elemento automazione è il passo verso il vero Software-Defined Datacenter

Cloud
La Digital Transformation è ormai una esigenza sentita dalle aziende, sulla spinta dei successi delle imprese quasi “iconiche” - alla Netflix, AirBnB, Uber per intenderci - che hanno profondamente cambiato il mercato in cui operavano o sono entrate ex novo. Ogni azienda deve però trovare una sua strada di evoluzione: non esiste “la” Digital Transformation, in un certo senso ne esiste una per ciascuna impresa. Anche perché la trasformazione digitale non è un singolo processo ma un insieme di iniziative tecnologiche e legate all’evoluzione della cultura e dei processi con cui l’impresa si presenta sul mercato.

Dal punto di vista dell’IT infrastrutturale Red Hat ritiene che queste due linee di sviluppo convergano sulla richiesta di una maggiore elasticità. “Il business comprende che bisogna cambiare l’approccio alla tecnologia, che diventa l’elemento abilitante per sviluppare ed erogare rapidamente nuove applicazioni e servizi”, commenta Michele Naldini, Solution Architect - RHCSA di Red Hat Italy. Questo obiettivo apparentemente semplice si porta in realtà dietro la necessità di infrastrutture allo stesso tempo elastiche, affidabili e dal comportamento riproducibile. Il tutto in ambienti che sono quasi sempre di cloud ibrido e anche multicloud, quindi che richiedono sinergia tra componenti diverse di ambienti eterogenei.

Considerando la Digital Transformation da questo punto di vista si capisce, spiega Naldini, come essa “Se applicata a dovere sia un cambio epocale che si applica a diversi layer dell’infrastruttura IT. Richiede una evoluzione architetturale per la quale negli ultimi anni sono state introdotte nuove tecnologie abilitanti, dato che quelle tradizionali non erano state pensate per questi nuovi scenari”. In questo senso OpenStack è riconosciuto dal mercato come la base principale su cui costruire un ambiente IaaS (Infrastructure-as-a-Service) in grado di seguire la trasformazione digitale delle imprese.

openstack

Il ruolo preminente di OpenStack deriva da caratteristiche che le aziende e gli sviluppatori hanno imparato a conoscere bene. In primo luogo permette di creare ambienti IaaS di vario tipo con una forte scalabilità orizzontale, ha una community molto attiva con oltre trentamila sviluppatori, è modulare e quindi adattabile, permette la gestione in self-service di molte funzioni. Queste peculiarità sono note ma, evidenzia Naldini, “Come Red Hat vediamo anche quale sia lo step successivo nell’utilizzo della piattaforma: trasformarla in qualcosa di ancora più efficace introducendo un elevato grado di automatismo nell’infrastruttura IT”. Arrivando così a quello che molti definiscono SDDC, o Software-Defined Datacenter.

Il modello del SDDC punta a una infrastruttura IT capace di adattarsi automaticamente alle necessità dei carichi di lavoro, che sappia cioè far scalare i suoi servizi in maniera autonoma. Questo sempre tenendo presenti i limiti entro i quali questi servizi devono muoversi, definiti da policy e da requisiti di compliance. Grazie a questa combinazione tra scalabilità, automatismo e controllo si ha la garanzia che il SDDC operi sempre puntando al massimo dell’efficacia ma anche in maniera corretta.


naldini redhat

Michele Naldini, Solution Architect - RHCSA di Red Hat Italy
Nell’architettura Red Hat l’elemento che porta queste funzioni di automatismo e controllo è CloudForms, che introduce in OpenStack gli elementi di cloud management ed estende le capacità di automazione e controllo. Opera come una appliance virtuale che identifica le caratteristiche e le risorse dell’ambiente OpenStack, dal cloud privato al multicloud, e permette di gestirle con un livello di automatismo ed astrazione molto elevato.

Attraverso la sinergia tra OpenStack e CloudForms diventa ad esempio possibile creare portali self-service per l’attivazione di servizi IT, automatizzare tutto il ciclo di vita dei workload, raccogliere e analizzare dati sul consumo delle risorse, avere una visione integrata di tutta l’infrastruttura virtualizzata. Avendo poi al suo interno un engine Ansible può estende le proprie funzionalità arrivando anche a dialogare con Red Hat Ansible Tower quando gli ambienti da gestire si fanno particolarmente complessi.

cloudforms

CloudForms in sostanza, spiega Naldini, agisce come “Uno strumento in grado di orchestrare e gestire l’infrastruttura IT dando un controllo assoluto di tutto il SDDC, e non solo per le piattaforme Red Hat”. CloudForms può infatti integrarsi via API con gli strumenti di management che già si possiedono, ma soprattutto le sue funzioni di gestione e automazione si applicano in maniera coerente a vari ambiti: piattaforme di virtualizzazione, ambienti di cloud privato, public cloud come AWS o Azure, piattaforme container come OpenShift.
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