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Oracle, la trasformazione dei data center è in ritardo

Quocirca fotografa lo stato dell'arte dei data center in nove paesi a livello mondiale – mediante interviste a 919 Cio - in termini di flessibilità, sostenibilità ambientale e supporto al business. L'Italia non brilla e si colloca nelle ultime posizioni, con data center in bilico tra la fase di silos e quella di consolidamento. Ancora a distanza: ottimizzazione e cloud computing.

Tecnologie
Oggi si fa un gran parlare della "prossima generazione di data center" (next generation data center), infrastrutture che dai data center tradizionali concepiti a silos - in cui la complessità dei dati regna sovrana e l'integrazione tra i differenti livelli è un grattacapo per i Cio aziendali - evolvono verso architetture semplificate e consolidate attraverso la virtualizzazione, e che, a tendere, traguardano il paradigma del cloud computing. In molti casi, però, ancora oggi si tratta  solo di parole...o poco più. Sono numerose, infatti, le aziende che stentano a intraprendere un percorso innovativo nei loro data center, con ripercussioni negative sulla capacità di adeguarsi velocemente ai rapidi cambiamenti del mercato e alto rischio di perdita di competitività.
E' il quadro che emerge dalla fotografia scattata dalla società di analisi Quocirca, su commissione di Oracle, che lo scorso mese di marzo ha intervistato 919 Cio di medie aziende (con fatturato superiore ai 100 milioni di dollari e grandi aziende (fatturato oltre 1 milione di dollari) - non necessariamente clienti Oracle - in nove paesi a livello internazionale.
oracle-la-trasformazione-dei-center-e-in-ritardo-1.jpgLa ricerca, denominata Oracle Data Center Index, presentata alla stampa da Sergio Esposito, Country Leader, Systems Business Unit, Oracle Italia, stabilisce un indice (che si basa su un punteggio che va da 1 a 10) che, in sostanza, punta a capire come le aziende si muovono verso le nuove generazioni di data center mediante l'uso di tecnologie innovative, prendendo in esame tre macro fattori: flessibilità, sostenibilità ambientale e supporto al business.
Un punto di partenza per verificare con  periodicità l'evoluzione del mercato.
L'indice medio rilevato a livello mondiale è di 5,28; si potrebbe dire a rischio sufficienza, a sottolineare come a livello globale una fetta consistente di organizzazioni non sia stata ancora in grado di sfruttare appieno le proprie risorse IT.
Ancora meno entusiasmante l'indice italiano del 4,50 (100 i Cio coinvolti nello studio), che colloca il Bel Paese al penultimo posto della classifica (sia nell'indice generale che nei sotto-indici legati ai tre parametri di riferimento), davanti soltanto al Medio Oriente (4,41); sotto la media anche la Francia e la penisola Iberica (Spagna e Portogallo, 4,73).
Dominano la classifica a parimerito Germania e Svizzera (6,09), seguite da Scandinavia (5,95), Benelux (5,64) e Uk.
A livello di geografie gli Usa (5,79) risultano più avanti dell'Europa (5,32) e del Middle East (4,41), mentre i settori merceologici più ricettivi alla trasformazione del data center sono Tlc, servizi finanziari e utility. Il settore pubblico e la distribuzione, invece, non riconoscono nel data center uno strumento che supporta e abilita il buisiness.
In termini di sub-indici la flessibilità ha il maggior grado di maturità, mentre la sostenibilità ambientale rimane a un livello ancora troppo teorico e l'allineamento al business non è ancora entrato nella ‘forma mentis' dei responsabili aziendali.
Pur essensoci segnali che confermano la presenza di innovatori che comprendono i vantaggi degli strumenti tecnologici disponibili, nel complesso il mondo aziendale non sembra cogliere il valore delle strutture IT. 
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[tit:Lo spaccato italiano]
La situazione di coda dell'Italia nella classifica non fa che testimoniare lo stato di arretratezza del paese. L'istantanea italiana, infatti, mostra un Paese refrattario al cambiamento, con una prevalenza di infrastrutture IT che operano a silos o in fase di consolidamento. Lontani gli step di ottimizzazione e cloud computing.
In termini di flessibilità conforta il fatto che più del 70% dei Cio italiani manifesti la necessità di cambiare nel giro di un paio anni la propria infrastruttura di data center. Ma il percorso da compiere per innovare è ancora lungo: per gestire un picco di lavoro più del 50% del campione necessita infatti di mezza giornata lavorativa (un tempo non accettabile per esempio per una banca o un'azienda di trasporto);  non c'è omegeneità – la piattaforma non è semplificata ma costituita da soluzioni differenti e poco integrate; il system mangement, chiave di volta della gestione di un data center - non è ancora sentito come un bisogno: solo il 33% del campione infati utilizza qualche meccanismo automatico di gestione.
Per non parlare della virtualizzazione. Il dato sconcertante che emerge è che la virtualizzazione server è sotto al 10% nel 39% delle imprese intervistate.
La sostenibilità è però la vera nota dolente: in quest'ambito c'è ancora molta teoria e poca pratica. Non è ancora stata formalizzata nella strategia aziendale; rimane una vision, e c'è poca chiarezza sui consumi del data center, come se fosse un problema sempre ad appannaggio di altri. L'utilizzo della potenza totale del data center risulta lontano dall'ottimizzazione e c'è immaturità nell'intercettare i possibili picchi di utilizzo e, di conseguenza, dimensionare l'infrastruttura: si reagisce in funzione di ciò che accade.
E veniamo al supporto al business. Dalla ricerca emerge ancora un forte disallineamento tra IT e business; più che allineamento è in atto una forma di collaborazione. Basti dire che in termini di livelli di disponibilità del sistema, le interruzioni pianficate (upgrade) e non (picchi e blocchi,...) sono ancora gestite a livello manuale.
E nella sfera del business non poteva mancare il tema del Cloud Computing. E' un fenomeno all'attenzione di molti, che cercano di capirne le logiche. Ma lo scetticismo è elevato: più del 25% del campione italiano non colloca il Cloud Computing all'interno della propria organizzazione IT futura. Solo uno sparuto 5%  E la sicurezza è uno dei principali freni all'adozione del cloud.
"I dati italiani relativi ai data center vanno analizzati in un'ottica di opportunità che si stanno perdendo. L'Italia ha un basso livello di maturità rispetto a una media globale che evolve. Bisogna agire al più presto. I vendor devono farsi attori del trasferimento del know-how necessario per il cambiamento. Alle aziende non è stato trasferito il messaggio corretto. Occorre fare capire loro i modelli di business della trasformazione del data center in chiave innovativa. E' fondamentale non perdere l'opportunità di allinearsi", conclude Esposito.
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