L'uso eccessivo di Facebook crea assenteismo virtuale dal lavoro, mettendone a rischio il posto. Ma anche per i datori di lavoro potrebbero esserci problemi.
Che
Facebook creasse dipendenza ce ne eravamo accorti, ma che mettesse a rischio addirittura il posto di lavoro è un tantino esagerato. Ebbene sì l'uso del
social network sul posto di lavoro crea quello che è stato definito "assenteismo virtuale", cioè si è presenti solo fisicamente, ma la testa è altrove.
Questo porta alle aziende cospicua perdita, difficile da quantificare concretamente ma senz'altro importante. Oltre a ciò facebook, piazza virtuale per eccellenza, dove tutti possono postare tutto ciò che vogliono, commentare e "taggare", potrebbe rivelarsi assai pericoloso per quel lavoratore distratto che
posta commenti poco lusinghieri nei confronti del capo o peggio informazioni riservate che possono causare danni d'immagine o di affari all'azienda.
In questo caso l'incauto utente può incorrere nel
licenziamento perché, come hanno stabilito i giudici della cassazione, il diritto di critica di un lavoratore deve essere subordinato agli obblighi di collaborazione e fedeltà che questi deve all'azienda.
Ma l'uso personale di strumenti aziendali può esporre a rischi il sistema informatico, aprendo quindi le porte a pirat
i informatici e virus. Come risolvere allora questo problema? I datori più tolleranti hanno concesso l'uso dei computer aziendali a fini personali solo nella pausa pranzo, altri, invece, a costo di essere impopolari tra i dipendenti, hanno impedito a monte l'accesso ai social network.
Anche i datori di lavoro, però, non sono immuni dai rischi che si corrono navigando su Facebook: se infatti in vista di un colloquio proprio lì si ricercano informazioni sul candidato allora, come previsto
dall'articolo 8 dello statuto dei lavoratori si incorre in sanzioni penali.
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