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La generazione cloud 3D di Autodesk

Piattaforme collaborative e logiche di sviluppo che traggono ispirazione da generative design, virtual reality, additive manufacturing, machine learning, robotica e internet of things

Cloud
LAS VEGAS – Se il business di Autodesk è nato e cresciuto grazie ad Autocad, software di progettazione e modellazione 2D-3D, vi sono oggi tutte le premesse perché il successo possa continuare in una forma del tutto inedita e tecnologicamente più avanzata, andando a estendere ed evolvere la presenza dell'azienda anche in aree di industry finora inesplorate. E' quanto è emerso nel corso di Autodesk University 2016, evento internazionale che ha visto la partecipazione di circa 10mila persone.

La frontiera tecnologica che apre le porte a nuove opportunità è basata su logiche di sviluppo che traggono ispirazione da generative design, virtual reality, additive manufacturing, machine learning, robotica e internet of things. Elementi che vengono oggi interpretati in una dimensione cloud che diventa elemento di unificazione abilitante piattaforme collaborative.

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Del nuovo e definitivo corso che caratterizzerà il futuro della progettazione, modellazione e simulazione, è fermamente convinto Carl Bass, il Ceo di Autodesk: “Stiamo entrando in un nuovo mondo dove nulla sarà più come prima. Creare oggetti, progettare nuovi prodotti, infrastrutture, costruzioni, essere protagonisti in aree ad alta specializzazione nel campo della modellazione molecolare, della genetica, delle bioteconologie, tutto questo diventa una sfida di grande interesse con potenzialità e opportunità straordinarie".

Jeff Kowalski, Cto di Autodesk, ha espresso tutta la sua fiducia nel lavoro condotto da Octo, una vera task force di ricercatori e specialisti di altissimo livello che opera su progetti che spaziano dalla robotica alla genetica con l’obiettivo di realizzare tecnologie in grado di mettere nelle mani degli utenti tool di grande potenza e intelligenza per la creazione, modellazione e design.

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Il generative design tecnologia inglobata nel progetto Dreamcatcher di Autodesk - destinato presto a diventare, dopo un lungo periodo di sperimentazione, un prodotto commerciale - è una delle futuristiche evoluzioni nel modo di creare oggetti. Significa ribaltare la logica tradizionale della progettazione, che vede il computer non più come strumento passivo deputato alla mera esecuzione degli input forniti dal progettista ma una risorsa utile nel processo di generazione del progetto.

La definizione di generative design corrisponde a “un metodo di progettazione nel quale l’output – sia esso un immagine, un suono, un modello architettonico, un’ animazione – è generato da un set di regole o da un algoritmo, normalmente utilizzando un software. La maggior parte del generative design è basato sulla modellazione parametrica, un metodo veloce per esplorare le alternative di progettazione ed è utilizzato in vari campi come le arti, l’architettura, l’industrial design”.

Con il Generative Design – affermano in Autodesk - si parte dalla condivisione degli obiettivi e delle regole a cui attenersi con il computer, che grazie al software deputato esplora e propone tutte le possibilità progettuali, ne simula le performance e aiuta il progettista/designer a selezionare l’idea che meglio risponde ai parametri di successo. Al computer non viene, qundi, più detto “cosa deve fare” ma quali obiettivi raggiungere, lasciando che operi proponendo diverse soluzioni.

Dreamcatcher è una piattaforma focalizzata proprio ad esplorare sistemi di generative design: si inizia condividendo gli obiettivi con il computer il quale, utilizzando metodi generativi, crea un grande set di potenziali soluzioni, sintetizzandole automaticamente grazie all’uso del cloud computing. “Nel tempo in cui l’operatore avrebbe disegnato un solo progetto, afferma Kowalski, Dreamcatcher riesce a generare anche tutte le altre possibili alternative ad esso. E’ possibile poi ottenere risultati ancora più performanti ridifinendo gli obiettivi, affinando i parametri e aggiornando le alternative”.

La logica che muove la creazione di nuova tecnologia è infine dettata dalla consapevolezza del valore aggiunto che può essere innescato da una partecipazione collaborativa ai progetti. "I nostri tool non sono più pensati per i singoli individui ma per i gruppi di lavoro” dice Carl Bass. “E il cloud è il motore abilitante questa filosofia”.

Cloud come piattaforma di infrastruttura su cui convergono ormai un nutrito numero di soluzioni che vengono identificati dalla dicitura 360. In primis Fusion 360, CAD 3D per la progettazione meccanica e industriale, alter ego as a service di Autocad che unifica disegno e processi di produzione.

L’integrazione è un punto fondamentale nell’evoluzione delle soluzioni cloud di Atuodesk. Come dice Kowalski, “Si è sempre pensato che l’acronimo di CAD fosse Computer-Aided Design, ma la realtà è che sarebbe meglio definirlo Computer-Aided Documentation". Per la componente BIM ne è un espressione altrettanto significativa BIM 360 Team, strumento di collaborazione su cloud che consente ad architetti, ingegneri e a tutte le parti coinvolte nella progettazione di collaborare in modo efficiente in uno spazio di lavoro centralizzato. Gli utenti possono visualizzare, condividere e rivedere oltre 100 formati di file 2D e 3D da qualunque dispositivo, tenere traccia delle diverse versioni del lavoro ed estendere il BIM all’intero team.

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Coerente con obiettivi di unificazione tra i diversi elementi che vanno a comporre la molteplicità di soluzioni Autodesk, è Forge, piattaforma cloud dedicata agli sviluppatori di applicazioni cloud-based per la progettazione e il design L’ecosistema di Forge comprende una serie di API (Application Program Interface) e SDK (Software Development Kit) che rendono possibili lo sviluppo delle più svariate app, da quelle per la visualizzazione e la presentazione di modelli 3D, a quelle che trasformano le immagini 2D in modelli 3D. In sostanza Forge stabilisce i collegamenti fra le tematiche di progettazione, ingegneria, visualizzazione, collaborazione, produzione e workflow, sviluppando quello che Autodesk chiama Future of Making Things“.
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