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Cgia: il cuneo fiscale è sceso di 13,3 miliardi

Il Segretario della CGIA, Renato Mason: "L’eventuale aumento dell’Iva condizionerebbe negativamente i consumi interni che colpirebbero, indirettamente, anche moltissime partite Iva, riducendo di fatto i loro ricavi e redditi".

Mercato e Lavoro
Negli ultimi 3 anni il cuneo fiscale è diminuito in misura strutturale di 13,3 miliardi di euro. Grazie all’introduzione del bonus di 80 euro, che grava sulle casse dello Stato per 8,9 miliardi l’anno, e all’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro dei dipendenti in forza all’azienda con un contratto a tempo indeterminato, che consente agli imprenditori di risparmiare 4,3 miliardi l’anno, il peso delle imposte e dei contributi previdenziali sul lavoro è iniziato a scendere.
A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Se teniamo conto anche degli sgravi contributivi introdotti per il 2015 e il 2016 dal Governo Renzi, misure comunque temporanee che si esauriranno entro dicembre 2018 e a beneficio delle imprese che hanno assunto dipendenti con un contratto a tempo indeterminato, la “sforbiciata” aumenta di altri 15 miliardi di euro. Questi dati, secondo la CGIA, consentono di chiarire meglio la discussione avvenuta in questi ultimi giorni sulla necessità, suggeritaci dalla Commissione europea, di diminuire il cuneo fiscale in cambio di un ritocco all’insù delle aliquote Iva.
“Sebbene siano ancora troppo elevate e la riduzione sia insufficiente – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – le tasse sul lavoro stanno diminuendo. Ricordo, tuttavia, che i dati Ocse relativi al cuneo fiscale in percentuale del costo del lavoro dei dipendenti senza familiari a carico in Belgio, Francia e Germania sono superiori al nostro. Tagliare le imposte è sempre auspicabile, ma farlo attraverso uno scambio con un corrispondente aumento dell’Iva sarebbe sbagliato. Per appesantire le buste paga dei lavoratori è necessario aumentare la produttività che da noi è molto bassa per il semplice motivo che, rispetto a 40 anni fa, non abbiamo più le grandi imprese che altrove, invece, continuano a garantire, grazie al ricorso su larga scala all’innovazione, alla ricerca e a processi produttivi più moderni, stipendi più elevati”.
E sulla necessità di sterilizzare la clausola di salvaguardia che, altrimenti, farebbe scattare dal 1° gennaio 2018 l’aliquota Iva del 10 al 13 per cento e quella del 22 al 25 per cento, il Segretario della CGIA, Renato Mason, ricorda: “Di fronte a una crescita economica che nel nostro Paese sarà per il 2017 e anche per il 2018 tra le più basse di tutta l’Ue, l’eventuale aumento dell’Iva condizionerebbe negativamente i consumi interni che colpirebbero, indirettamente, anche moltissime partite Iva, riducendo di fatto i loro ricavi e redditi”.
Già oggi, segnala la CGIA, siamo tra i principali paesi dell’area euro ad avere l’aliquota ordinaria Iva più elevata. Se da noi è al 22 per cento, in Spagna è al 21, in Francia al 20 e in Germania al 19. “Di fronte ad una crisi economica che è in gran parte dovuta alla forte contrazione dei consumi interni registrata in questi ultimi anni di profonda crisi – conclude Mason - con un nuovo aumento dell’Iva rischiamo di fermare la ripresa della domanda interna, penalizzando non solo chi ha meno disponibilità economiche, ma anche le piccole imprese, come gli artigiani e i piccoli commercianti, che operano quasi esclusivamente per il mercato domestico”.
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