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Liberalizzazione aperture, Confesercenti: in due anni perse 38mila imprese

Confesercenti: "Fare subito passo indietro su deregulation, unico effetto è stato accelerazione emorragia di Pmi. In due anni persi 100mila posti di lavoro e 28,5 miliardi di spesa per acquisto di beni".

Mercato e Lavoro
"La liberalizzazione delle aperture del commercio -  introdotta due anni fa dal Salva-Italia del Governo Monti con lo scopo di rilanciare consumi e occupazione  -  è stata un vero flop: i previsti effetti benefici sono tuttora ‘non pervenuti’, ed il settore ha perso tra il 2012 e il 2013 oltre 100mila posti di lavoro, registrando allo stesso tempo 28,5 miliardi di minori consumi di beni da parte delle famiglie".  
E’ il quadro che emerge da un’indagine condotta da Confesercenti sull’effetto della liberalizzazione delle aperture nel commercio, entrata in vigore a partire dal primo gennaio 2012 e che rende possibile l’apertura 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno, domeniche e festività – come Natale, Pasqua e Capodanno – incluse.
“La liberalizzazione – spiega Mauro Bussoni, Segretario Generale di Confesercenti, intervenendo a Senigallia in un dibattito sui temi della deregulation organizzato dalla Regione – avrebbe dovuto stimolare la concorrenza, favorire nuova occupazione e rilanciare consumi attraverso l’incremento delle occasioni di acquisto per le famiglie italiane. Constatiamo che l’intervento non ha raggiunto alcuno dei tre obiettivi: nel biennio in cui è stato in vigore la spesa delle famiglie è crollata come non mai nella storia della Repubblica italiana, mentre i posti di lavoro offerti dal settore, sotto forma di occupazione dipendente ed indipendente, sono diminuiti drammaticamente”.
“Anche sul fronte della concorrenza – continua il Segretario Confesercenti – l’effetto della liberalizzazione è stato controproducente: la concentrazione dei consumi nei weekend ha favorito solo la grande distribuzione, contribuendo all’aumento dell’erosione di quote di mercato della gran parte dei piccoli esercizi. Che non possono sostenere l’aggravio di costi, diretto ed indiretto, in particolare a valere sul fattore lavoro, derivante da un regime di apertura continua che non ha eguali in Europa e che ha portato ad un accelerazione dell’emorragia di imprese nel settore: nei primi due anni di applicazione della norma si registra un saldo negativo di più di 38mila unità tra aperture e cessazioni di attività. Un ulteriore  colpo a un settore già messo a dura prova dalla lunga crisi dei consumi del nostro Paese, come testimoniano i 550mila negozi sfitti che abbiamo rilevato in Italia. E nemmeno il 2014 lascia ben sperare: nei primi 5 mesi dell’anno ci sono state già oltre 23mila cessazioni, per un saldo negativo di oltre 12mila unità”.
“Bisogna subito fare un passo indietro – conclude Bussoni – : tornare alla regolamentazione degli orari dei negozi è una scelta necessaria, che garantisce un’equa concorrenza fra le diverse forme distributive. Siamo felici che la nostra proposta di ripensare le liberalizzazioni, avanzata più di un anno fa, abbia finalmente rotto il muro del silenzio. Ora si vada avanti, per risolvere un problema che è allo stesso tempo economico e sociale”.
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