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Osservatorio EY – SWG: solo 1 consumatore su 2 percepisce un impegno concreto dei brand rispetto ai valori promossi

L'88% degli intervistati ritiene che il brand purpose sia il fattore cruciale che guida le scelte d'acquisto e distingue un'azienda dalle altre. Tuttavia, solo la metà dei consumatori percepisce un impegno effettivo da parte dei brand nei confronti dei valori che promuovono,

Mercato e Lavoro

Il contesto attuale, caratterizzato dalle ripercussioni della pandemia globale, da forti tensioni geopolitiche e dall’aumento dell'inflazione, ha generato significativi cambiamenti nel comportamento dei consumatori. Questi eventi hanno accelerato l'attenzione verso temi legati all'ambiente, alla sostenibilità e alle questioni sociali. In questo scenario, il "purpose" del brand - ossia la ragione per cui l'azienda esiste al di là del mero profitto, sintesi di idee, valori e scopi che ne definiscono l’essenza - è diventato cruciale nel processo d'acquisto. La percentuale di consumatori che considera importante il purpose di un brand nella scelta di prodotti e servizi è aumentata del 51%, passando dal 27% nel 2020 al 78% nel 2023.

È quanto emerge dall'Osservatorio EY – SWG Purposeful Growth, che ha coinvolto un campione di circa 7.000 italiani e ha esaminato oltre 80 brand per valutare la loro capacità di valorizzare il proprio purpose.

Il brand purpose guida le decisioni d'acquisto, con l'88% degli intervistati che lo considera il fattore cruciale per differenziare un'azienda dalle altre. Inoltre, il 77% dei consumatori si aspetta che i brand abbiano un purpose chiaro e coerente nel quale identificarsi e il 60% è disposto a spendere di più per un brand che traduce i suoi valori in azioni concrete.

Al giorno d’oggi, hanno successo quelle aziende che sono capaci di intrecciare azioni tangibili con narrazioni autentiche. Un solido storytelling non basta più: i consumatori richiedono un allineamento tra i valori promossi, la narrazione e le azioni intraprese. Per avere successo, le imprese devono concentrarsi su iniziative capaci di risuonare sia in termini razionali che emotivi con il loro target” - commenta Giacomo Giacopelli, Partner, Europe West Customer & Growth Leader di EY.

Secondo la ricerca, un brand con un purpose ben definito e coerente è anche più capace di creare valore e vantaggio competitivo: il valore azionario delle aziende guidate da un purpose solido e strutturato cresce del 175%, il doppio rispetto ai concorrenti nell’arco di 12 anni.

In un contesto così articolato, le aziende devono sviluppare strategie di marketing e comunicazione che tengano conto di un mix di capitale umano, tecnologico, umano, reputazionale, con un approccio diverso rispetto al passato. Il purpose e i business model devono essere costruiti intorno alla persona e devono essere capaci di attivare driver di scelta razionali ed emotivi nei consumatori, così da aumentare esponenzialmente le probabilità di successo della trasformazione. Indipendentemente dal fatto che la crescita derivi da nuovi modelli di business o prodotti e/o servizi, la strategia che la supporta dovrà essere definita, disciplinata e sostenuta da un solido brand purpose” – prosegue Giacopelli.

Dall’analisi EY-SWG emerge che aziende in grado di mettere in pratica questi elementi (capitale umano, tecnologico, umano, reputazionale) registrano una crescita media annuale del 10%, oltre 3 volte rispetto alle aziende che non mettono i valori al centro della propria strategia.

La rilevanza dei valori è un tema cross generazionale, ma con driver differenti

Ma quali sono i driver valoriali più rilevanti per i consumatori? I dati raccolti evidenziano rilevanti differenze a livello generazionale:

  • l’83% dei consumatori appartenenti alla generazione Z (nati tra 1997 e 2012) ritiene che l’adozione di comportamenti sostenibili incida molto sulla loro scelta d’acquisto di prodotti o servizi;
  • il 94% dei Millennials (nati tra 1981 e 1996) valuta come positivo il fatto che le aziende sono impegnate ad offrire pari opportunità ai dipendenti;
  • il 93% dei Gen X (nati tra 1965 e 1980) ritiene che sia importante che le aziende producano prodotti e servizi ad impatto zero;
  • il 95% dei Boomer (nati prima del 1964) ritiene che sia importante che le aziende reinvestano nelle comunità e nei territori in cui operano una parte dei propri utili.
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