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Sap, Oracle e il rebus del cloud

Se per magia il fatturato di aziende come Oracle e Sap fosse oggi esclusivamente basato sul nuovo modello a servizio gli utili diminuirebbero in modo sostanziale

Cloud
I big vendor dell’IT sono nel bel mezzo di un guado. La traversata che devono compiere per essere adeguatamente strutturati ad affrontare il nuovo mercato, che si preannuncia sempre più caratterizzato da una domanda di servizi cloud, rappresenta una svolta epocale per il business di queste aziende. Da una parte si deve accelerare la messa a punto di un’offerta cloud trasversale a tutte le possibili declinazioni – privata, pubblica e ibrida – andando a modificare i conglomerati delle risorse dei sistemi informativi del comparto enterprise; dall’altra si deve mantenere a oltranza la capacità di presidiare il mercato tradizionale basato su licenza, poiché da esso dipende la possibilità di garantirsi sufficiente carburante per sostenere il passaggio a un modello di business a servizio.
In sintesi, e andando a semplificare, il modello di business che fa riferimento al cloud ha margini di profitto inferiori al modello di licensing tradizionale. Certo, la trasformazione del mercato non avverrà in tempi brevi, per fortuna di tutti gli incumbent, ma è ipotizzabile pensare che nel giro di un decennio, soprattutto in alcune aree geografiche, quelle dove si manifesta una più spiccata capacità di innovazione, gli investimenti IT saranno profondamente influenzati dal cloud. Una previsione che crea non poca preoccupazione. Per una ragione molto semplice: se per magia il fatturato di aziende come Oracle e Sap fosse oggi esclusivamente basato sul nuovo modello di servizio gli utili diminuirebbero in modo sostanziale.

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Sap afferma che entro il 2020 il software che verrà distribuito attraverso il cloud supererà in valore quello associato al tradizionale modello di licensing
. In base a quanto dichiarato dalla stessa azienda, attualmente i nuovi contratti sofware sono per un terzo generati dal cloud, 313 milioni di euro contro 917 milioni di euro, secondo le cifre riferite al secondo trimestre dell’ultimo anno fiscale. Ma il gettito che deriva dal business della manutenzione e aggiornamento dell’installato tradizionale vale 2,28 miliardi di euro, cifra che, presumiamo, andrà progressivamente diminuendo in modo direttamente proporzionale all’affermazione del cloud. Ecco, quindi, che se da una parte viene valutato positivamente il fatto che il business di una società come Sap sia sempre più associato al cloud, dall’altra non si nasconde che questo sia allo stesso tempo un problema, in quanto implica una trasformazione dell’assetto globale del vendor per riuscire a mantenere e sviluppare nel tempo un business sostenibile e profittevole.
Stesso discorso fatto per Sap può essere fatto per Oracle. Nel corso dell’anno fiscale 2014 il fatturato generato dal cloud è stato dell’ordine del 23% mentre il business delle licenze software è rimasto invariato e i servizi di manutenzione sono cresciuti del 6%. Il fatturato complessivo è cresciuto del 3% e gli utili solo dell’1%. Se gli investimenti tendono a premiare il modello a servizio, a discapito di quello tradizionale, significa fare meno profitti. Per dire, un dollaro investito nel cloud vale un decimo del dollaro investito nel business tradizionale poiché il primo, in buona sostanza, non porta quel surplus di business che è invece in grado di assicurare il modello a licenza. Non solo, la competizione nel cloud è molto più forte rispetto al mercato tradizionale. Si pensi alla guerra di prezzi messa in moto da internet companies del calibro di Amazon e Google per quanto, per esempio, riguarda l’offerta infrastrutturale con costi di storage e server in continua discesa… Difficile prefigurare un modello di business sostenibile.
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