Analisi di un fenomeno oggetto di forti interessi da parte di alcuni vendor, molti eventi, fra i quali il primo OpenStack Day italiano, ma progetti per ora fermi alla fase pilota.
OpenStack è in fase di avanzamento costante, non ancora di raggiunta compiutezza perlomeno di mercato. La piattaforma software
open source che permette di dotare un cloud privato delle stesse funzioni di elasticità di un Amazon Aws, sta facendo molto parlare di sé, ma il grosso delle sperimentazioni si situa ancora a livello di progetti pilota, presso qualche telecom provider, banche o grandi aziende dell’online, come eBay o Comcast.
Di recente, si è parlato del tema anche nel primo
OpenStack Day italiano, organizzato nello spazio
Coworking Login di Enter, a Milano, con la partecipazione, fra gli altri, di Jonathan Bryce, executive director di
OpenStack Foundation e del Cto di
Rackspace, Chris Jackson. Tra gli elementi forti a sostegno della piattaforma, c’è soprattutto la possibilità di far girare applicazioni SaaS presenti su un app store in un cloud privato, senza dover inviare dati a server pubblici. Anche nei picchi di attività, le applicazioni possono andare a cercare risorse di calcolo supplementari su altri cloud, ma i dati resteranno sempre in casa. Per ottenere questo risultato, però, occorrerà aspettare di avere un’etichetta di compatibilità OpenStack sia per le applicazioni che per i cloud privati interessati. Ancora però non siamo a questo punto.
Le evoluzioni della piattaforma
Gli sviluppi, tuttavia, proseguono incessanti e il supporto attivo di realtà come
Ibm, Red Hat, Hp o la stessa Enter dovrebbero far sì che nel giro di un altro anno o poco più si arrivi a una “democratizzazione” autentica di OpenStack. L’ultima versione della piattaforma, denominata
Icehouse, beneficia di 350 nuove funzionalità sviluppate da oltre 1.200 contributor. La comunità è passata in un anno da 9mila a 16mila membri e da poco è disponibile anche un marketplace, creato dalla OpenStack Foundation: “
Non stiamo parlando di un prodotto o di una soluzione direttamente implementabile – ha chiarito
Jonathan Bryce –
ma di una tecnologia che spinge più in là il livello di astrazione dei sistemi informativi. Per beneficiarne, occorre che le imprese e i Cio procedano lungo la strada di una trasformazione importante nel modo di sviluppare e implementare le applicazioni”.
I sostenitori convinti, come Red Hat (che è anche il principale contributor), OpenStack permette di ridurre lo scarto esistente fra i budget It tuttora stabili e le necessità di costante aumento delle risorse
necessarie a guidare l’evoluzione del business. Altri, più pragmaticamente, si accontentano che se ne parli e si crei maggiore informazione sul tema: “
Abbiamo visto molta gente interessata ad approfondire la logica del modello – ha commentato
Ivan Botta, amministratore delegato di Enter -.
Sviluppatori e utenti finali hanno potuto acquisire testimonianze di quello che è stato fatto. Il grande fascino di OpenStack è di essere una tecnologia che non si vende in sé, ma si usa e lo sarà sempre più con l’andare del tempo”.
Sviluppi collaterali per Enter
Il cloud provider italiano è fra i partecipanti più attivi al progetto, in un certo senso funzionale alla propria visione infrastrutturale di cloud aperto in un’ottica federata a livello internazionale. A seguito degli
investimenti fatti nei mesi scorsi e delle relazioni avviate a livello internazionale, l’azienda ha potuto stringere una partnership strategica con
Telecom Luxembourg per estendere nel piccolo stato centro-europeo la
European Open Cloud Federation. Il progetto mira a creare un interlocutore continentale che possa contrastare il potere degli attori soprattutto americani e, in quest’ottica, Enter appare ben posizionata, con un’infrastruttura già distribuita su Milano, Francoforte, Amsterdam, Londra e Parigi, con la nuova aggiunta di Lussemburgo.
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