L'editoriale pubblicato su Wired di questo mese, pezzo scritto a quattro mani dal direttore Chris Anderson e Michael Wolff di Vanity Fair, è all'insegna del pessimismo digitale. Il titolo? "Il web è morto. Lunga vita a internet", ossia l'uso della rete è sempre più mirato.
"Il web è morto. Lunga vita a internet", titola così l'articolo che campeggia sul numero di
Wired di questo mese, articolo che, provocatoriamente
, predica un futuro non troppo roseo per i netizen.
Nel pezzo, scritto dal direttore
Chris Anderson assieme al giornalista di Vanity Fair
Michael Wolff, già dal titolo si intuisce la provocazione: i due fotografano la situazione della rete com'è oggi, decretandone la
morte. Ma il "decesso" riguarda solo una delle mille attività che si svolgono online, ossia la
navigazione o web surfing, come si dice oltreoceano.
E il nuovo trend è tutto da ricercare nello
"sfruttamento" delle potenzialità di internet da parte degli utenti. Oggi un cybernauta accede alla rete per un fine ben specifico, fine che corrisponde di solito a una delle forme di utilizzo della rete. Sì, perché non esiste solo la navigazione come agli albori della prima rete locale: oggi internet si usa per
vedere film, telefonare, effettuare acquisti, scaricare file e molto altro.
Naturale, quindi, l'evoluzione verso un sistema più orientato allo "sfruttamento". E la navigazione? Il web surfing viene sempre più
canalizzato verso grandi poli di attrazione, poli creati dagli interessi economici che, a forza di tentativi, sono riusciti a veicolare il traffico verso i "soliti" siti:
Google, eBay, Youtube, Amazon, App e iTunes Store e così via.
Tant'è che Wolff sottolinea, citando delle ricerche di mercato, che
il 75% delle pagine viste in Usa appartiene ai 10 siti web più cliccati. Ecco spiegato l'accentramento di cui sopra.
Chi rema contro la libertà, in senso stretto, della rete, quindi ha vinto? Sì e no. La situazione odierna, infatti, è frutto solo della naturale
evoluzione dell'ecosistema internet: i modelli di business vincenti che tendono ad attirare sempre più visitatori vincono e si "accaparrano" sempre più risorse. Un esempio? L'App Store di Apple. Ma non si tratta di un percorso univoco: gli utenti stessi sono soddisfatti dei servizi messi a loro disposizione e ne decretano il successo.
Questi due aspetti, a ben vedere, possono essere letti in
chiave evolutiva e internet, per questo, è sicuramente più adulta di quello che era nei suoi primi anni di vita. Ecco quindi la nascita di "isole" sempre più grandi e popolate nella rete, con i soli
giganti open
Google e
Facebook a offrire degli "universi paralleli".
A livello funzionale, poi, sarebbero
le app ad uccidere pian piano i browser: programmi dedicati a una specifica finalità e di facile accesso si sono dimostrati vincenti, negli ultimi anni. Basta pensare al
mondo mobile, dove ogni attività è legata ad un'icona ben precisa.
Anderson vede in questa tendenza la
fine del browsing e prevede un
futuro fatto di app, presenti in ogni tipo di dispositivo e capaci di generare redditi notevoli. Il progetto
Chrome Os di Google, a suo modo, è una prima avvisaglia di questo scenario, anche se l'idea di BigG è più verso un sistema aperto.
Insomma, le due penne di Wired predicano la morte del web come lo conosciamo, ucciso da chi ne trae profitto e attira sempre più utenti. Con l'andare del tempo questa tendenza porterà
altri sgraditi risultati: la
fine del "costo zero" e l'ingovernabilità di internet.
Che i soldi significhino potere è ben noto, ma davvero riusciranno a piegare anche l'irriducibile grande rete?