Anche l'IT fa fatica a cambiare

Gartner sottolinea i rischi della "change fatigue" per lo staff IT. E consiglia quattro strade per contenerlo e incanalarlo.

Autore: Redazione ImpresaCity

A nessuno piace cambiare. È un po' un'iperbole, ma è indubbio che per convincere qualcuno a cambiare davvero il proprio modo di comportarsi, specie nel suo lavoro, serve che i vantaggi del cambiamento in atto siano immediatamente visibili e concreti. E in un'era in cui le innovazioni sono spesso più complesse del previsto, quando passano dalle slide del marketing alla realtà, non è semplice portare il cambiamento nelle grandi imprese.

Gartner ha un'espressione specifica per questo fenomeno: "change fatigue". La "spossatezza da cambiamento" è, secondo la società di analisi, una reazione negativa che si genera nei dipendenti esposti al cambiamento. Una reazione fatta anche di apatia, burnout e frustrazione. E che ovviamente fa sì che i risultati che un'azienda si aspetta dal cambiamento non vengano raggiunti.

La "change fatigue" è un fenomeno concreto anche nei dipartimenti IT. Dal boom della digitalizzazione imposto dalla pandemia in poi, lo staff IT di moltissime imprese si è trovato davanti a una accelerazione delle evoluzioni tecnologiche, ancora più difficile da gestire perché le risorse e gli skill a disposizione sono sempre meno. Così, al netto delle iniziative di change management che le aziende possono mettere in piedi, molti CIO hanno davanti un panorama molto diverso rispetto alle promesse della Trasformazione Digitale.

La "change fatigue" dell'IT, spiega quindi Gartner, non va affatto sottovalutata e devono essere i CIO in prima persona ad affrontarla. Adottando in primo luogo, consigliano gli analisti, quattro approcci.

Il primo è riconoscere il problema come una questione chiave in qualsiasi processo di cambiamento del business grazie alla tecnologia. Cosa che la maggior parte dei CIO - otto su dieci - non fa. I CIO, spiega Gartner, definiscono i tempi e i modi dei progetti IT senza considerare abbastanza il punto di vista dei dipendenti IT che i progetti stessi coinvolgeranno. Il livello dello sforzo in più richiesto da un nuovo progetti dovrebbe invece essere una delle metriche di valutazione delle iniziative IT.

Altro punto: definire un unico "change leader" per tutto un progetto non è opportuno. Una sola persona non può avere il polso di come il cambiamento introdotto da un progetto IT stia impattando sullo staff tecnologico. Serve avere più responsabili distribuiti per l'organizzazione, in modo da rilevare - e da gestire - le varie possibili reazioni negative al cambiamento.

Terzo punto: il cambiamento tecnologico non è cosa solo da tecnologi. Va affrontato attraverso la cooperazione di vari livelli dell'azienda, dai top manager in giù, considerando tanto le risorse It quanto quelle legate al business. Per questo, spiega Gartner, i CIO dovrebbero creare team interdisciplinari con esponenti di tutte le funzioni aziendali che lo sviluppo tecnologico toccherà. Questi team inoltre devono essere responsabili dei risultati che il "loro" progetto di evoluzione tecnologica deve portare. Non devono, cioè, essere semplicemente assemblati per definire un project plan.

L'ultima indicazione che Gartner dà è forse la più complessa: tenere conto dell'impatto emotivo che le evoluzioni portano, fare in modo di incanarlo nel progetto stesso e tenerne traccia. Questo significa, principalmente, che i dipendenti devono avere occasioni formalizzate di esprimere le loro preoccupazioni legate a un progetto IT, perché in questo modo tali preoccupazioni possono essere gestite nella maniera migliore.

Se invece preoccupazioni e perplessità vengono espresse in maniera informale e al di fuori dei flussi di un progetto - è il caso delle classiche "chiacchiere da ufficio" - restano inaffrontate e diventano, nel tempo, un fattore di resistenza ad ulteriori evoluzioni.


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