Hybrid working: il lavoro del futuro

L’hybrid working non piace a tutte le imprese ma è la modalità organizzativa che chiunque dovrà recepire, affrontando in questa evoluzione diverse questioni tecnologiche

Autore: Redazione ImpresaCity

L’hybrid working? “Ha cambiato il modo in cui si lavora e si vive”, parola di McKinsey. Ma potrebbe essere “il peggio di due mondi” e comunque c’è “ancora molto da capire bene”, secondo l’Economist. Insomma, anche se il successo del lavoro ibrido viene dato per scontato, il dibattito resta ancora acceso. Anche perché il lavoro ibrido non è una opzione totalitaria. Certe cose si fanno meglio in remote working e certe altre richiedono la presenza in ufficio. Da qui la necessità di essere preparati a gestire modalità di lavoro diverse e complementari, che hanno impatti differenti sull’IT.

E attenzione: nel loro approccio all’hybrid working, molte aziende si concentrano solo su quanto vogliono, o devono, essere flessibili riguardo a dove il singolo dipendente lavora. Ma focalizzarsi solo sul “luogo” del lavoro, secondo Gartner, è comunque una forma di rigidità che indebolisce l’approccio scelto, anche se magari l’azienda è genuinamente convinta di avere sposato appieno l’hybrid working. Il nuovo mantra è che l’hybrid working non basta, la strada migliore è quella del “flexible hybrid working”. Vediamo di capirci meglio.

Quattro forme di ibrido

Esaminando le varie scelte organizzative fatte sinora dalle imprese si arrivano a definire, qualitativamente, quattro macro-classi di lavoro ibrido.

Flexible hybrid - I dipendenti hanno una notevole autonomia nello scegliere, giorno per giorno, dove e quando svolgere i propri compiti. Richiede una fiducia condivisa e una buona organizzazione “dal basso”. E deve esserci anche una precisa “accountability” degli obiettivi raggiunti (e non). Queste difficoltà sono bilanciate da un ambiente di lavoro in generale migliore e in particolare più produttivo. Secondo Gartner, per i dipendenti con autonomia organizzativa la probabilità di arrivare a performance elevate è 2,3 volte superiore a quella di chi tale autonomia non la possiede.

Office-first hybrid - Ci si aspetta che i dipendenti siano prevalentemente in ufficio, ma questi possono definire uno o due giorni della settimana in cui lavorano da remoto. L’obiettivo è tutelare la cultura aziendale e il senso di community, oltre che svolgere in presenza le attività che da remoto rendono meno, almeno con gli strumenti tradizionali. Un certo livello di autonomia del dipendente comunque è garantito.

Fixed hybrid - È la versione più rigida, e meno apprezzata, dell'office-first. Funziona allo stesso modo ma è l’azienda a decidere i giorni di remote working dei lavoratori.

Remote-first hybrid - I dipendenti per default fanno remote working, presentandosi in ufficio solo quando è strettamente necessario, come ad esempio per eventi di formazione in presenza.

Le tecnologie contano

Il ruolo delle tecnologie è, in tutti questi scenari, essenziale. Nel lavoro ibrido non esiste un “workspace” precisamente definito nel tempo e nello spazio, quindi serve un complesso di prodotti, servizi e soluzioni che consenta al dipendente di passare in maniera trasparente da un workspace all’altro. Le risorse e i servizi a cui può accedere devono essere gli stessi, e “visti” sempre nello stesso modo.

La cosa è più complessa di quanto molte aziende si aspettano. Anche perché nell’approcciare tecnologicamente l’hybrid working spesso restano, come afferma Gartner, location-centric. È invece il fattore tempo a contare di più, perché oggi lavorare è soprattutto collaborare con i colleghi e l’hybrid working si sposa male con i momenti di collaborazione e confronto tradizionali, fatti di interazioni sincrone.

Serve invece quella che sempre più spesso viene chiamata “collaborazione intenzionale”, in cui la collaborazione tradizionale viene affiancata da una collaborazione “asincrona”, in un mix che ottimizza le performance del gruppo di lavoro pur lasciando ampia libertà ai singoli. Un mix che deve essere supportato da tecnologie e strumenti per cui il dipendente può collaborare con gli altri su canali e con tempistiche destrutturate. Conseguenza: serve a poco “potenziare” la riunione classica, meglio allestire un insieme sinergico di forme di collaborazione complementari.

La strada è tracciata

Intorno all’hybrid working ruotano queste e molte altre considerazioni tecnologiche, non tutte semplici da digerire per le imprese. E coinvolge anche dinamiche che non riguardano il mondo del lavoro in sé ma lo svilupparsi di macrotrend socio-economici più generali. Dall’aumento del costo della vita sino alla de-urbanizzazione: la “fuga dalle città” che oggi coinvolge in particolare proprio i lavoratori più digitalizzati e "preziosi".

Il lavoro ibrido è comunque ormai un dato di fatto, anche se i dibattiti sul suo valore continueranno ancora per molto. L’hybrid working è “il” modo di lavorare che i dipendenti vogliono e che le aziende devono recepire. Non fosse altro che per un dato comune a tutte le analisi di mercato recenti: il 10-15% dei lavoratori, specie quelli digitalmente più preparati, non avrebbe remore a lasciare l’azienda che non dovesse garantire loro la flessibilità che desiderano.