La trasformazione di Fujitsu verso i servizi digitali

La tappa milanese del Fujitsu World Tour è servita per delineare realtà e futuro di un’azienda che cerca di preservare quanto costruito soprattutto con l’hardware, ma deve cercare di rinnovarsi per trovare nuove vie di crescita.

Autore: Roberto Bonino

Tutte le aziende tecnologiche devono oggi affrontare il grande tema della trasformazione digitale, che riguarda certo il business, ma tocca in molti modi anche la vita delle persone. C’è chi parte avvantaggiato, perché in parte ha ispirato il processo in corso (i nomi sono quelli noti, da Amazon, Google e Facebook a Uber, Airbnb o le varie fintech) e c’è chi invece ha già una lunga storia alle spalle e deve scegliere la strada più corretta per innovare portando con sé esperienza e relazioni costruite negli anni.
Fujitsu appartiene al secondo lotto e la tappa milanese dell’annuale World Tour è servita soprattutto per segnare una linea di passaggio inevitabile, dall’immagine di fornitore di prodotti a quella di erogatore di servizi di nuova generazione. Più che di server, infrastrutture convergenti, storage o terminali, si è parlato, almeno nel corso della sessione plenaria, soprattutto di Human Centric Intelligent Society, ovvero di una visione il più possibile integrata del complesso di componenti che stanno contribuendo alla trasformazione digitale: “Siamo una multinazionale da 41 miliardi di dollari e disponiamo di un’infrastruttura connessa end-to-end nella quale sistemi di elaborazione, sensori, strumenti di analisi dei dati, servizi per cittadini e imprese, Internet of Things, social network e altro ancora concorrono a disegnare un mondo dove l’automazione si piega alle necessità delle persone, siano esse cittadini o professionisti impegnati a disegnare nuovi prodotti e servizi”, ha enfatizzato Bruno Sirletti, presidente e amministratore delegato di Fujitsu Italia.
La chiave per il futuro di una realtà complessa e con oltre 80 anni di storia sta nella capacità di integrare il mondo fisico con quello digitale, calvalcando la cosiddetta quarta onda tecnologica, che da Internet e la mobility, ci ha portato verso l’IoT e ora ci proietta verso l’intelligenza artificiale e la robotica: “Siamo già in grado di fornire esempi concreti del futuro che stiamo costruendo – ha illustrato Tim White, Head of Service Delivery in Fujitsu – ad esempio nell’abbigliamento, con la possibilità di elaborare dati in tempo reale per aiutare l’attività dei punti vendita oppure nel manufacturing, dove in Ge Power la possibilità di controllare in tempo reale la produzione ha già prodotto significativi risparmi. Le opportunità per noi nascono dall’ascolto delle necessità dei clienti, creando innovazione che sfrutta il cloud per creare gli ambienti ibridi utili all’innovazione”.
Per proiettarsi ancor più nel futuro prossimo della società, il presidente dei laboratori europei, Tsuneo Nakata, ha anticipato sviluppi che passano da anelli indossabili per fornire informazioni sulla produzione degli stabilimenti a strumenti di riconciliazione di dati eterogenei per il mondo finanziario, per arrivare alla previsione di possibili esondazioni dei fiumi o del consumo energetico degli uffici: “Un progetto al quale teniamo in modo particolare è Ai Zinrai, un framework nel quale sono incorporate tecnologie quali machine e deep learning e riconoscimento visuale, per lo sviluppo di soluzioni e servizi funzionali alla vita degli uomini, in grado di apprendere e automatizzare compiti per aiutare a prendere decisioni e, in ultima analisi, migliorare l’esistenza delle persone”, ha spiegato il capo della ricerca continentale.
Fujitsu in sostanza, guarda alla trasformazione digitale e anche oltre, pur se nella realtà di tutti i giorni si trova a dover dialogare con partner e clienti sulle migliori modalità di virtualizzazione dei server o su come utilizzare il backup per fare anche disaster recovery. Il tempo ci dirà se il suo futuro passerà per un’evoluzione morbida e ben guidata oppure, com’è capitato a nobili concorrenti (Ibm e Hp, per citare i due più importanti), per punti di rottura più drastici, magari anche utili a realtà locali come quella italiana per recuperare il gap ammesso dallo stesso Sirletti rispetto ad altri paesi europei e non. 

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