Le imprese italiane stanno adottando le nuove tecnologie come base per una generale innovazione, spiega Assintel. Ma si può fare meglio.
Autore: Redazione ImpresaCity
Le varie analisi della spesa tecnologica delle aziende italiane hanno spesso sottolineato un punto dolente: molti imprenditori investono in tecnologia perché si deve farlo o come elemento tattico, raramente con una visione strategica. Oggi questo atteggiamento sembra essere cambiato, con le imprese nazionali che - in maggioranza, non tutte - guardano in maniera strutturata alle potenzialità innovative delle tecnologie ICT. Quantomeno, questo è il ritratto che si evince dal Rapporto Assintel 2025.
Uno dei punti chiave del Rapporto 2025 è una analisi dell'adozione delle tecnologie cosiddette New Digital Driver. In teoria, sono le tecnologie più evolute e potenzialmente innovative, che possono dare una spinta importante alla trasformazione del modo di operare di una impresa. Si tratta di quattro ambiti specifici: cloud computing, AI, Big Data e Analytics, cybersecurity.
Il comparto Big Data e Analytics è quello più collaudato, che le aziende stanno approcciando da più tempo. Nel 2024 ha raccolto investimenti per quasi 2,5 miliardi di euro, che dovrebbero diventare 2,7 nel 2025 e 2,9 l'anno seguente. La crescita insomma c'è e quasi a doppia cifra percentuale, un buon segno per un comparto che non si può definire nuovo ma che sta vivendo un rinnovato interesse: una corretta gestione dei dati è essenziale nei progetti di digitalizzazione, in particolare per chi gestisce grandi volumi di dati. Il boom dell'Intelligenza Artificiale, poi, rende investire in Big Data e Analytics ancora più importante.
In teoria anche la cybersecurity dovrebbe essere un campo collaudato. La cybersecurity italiana ha mosso 2,2 miliardi di euro nel 2024 e dovrebbe arrivare a 2,4 nel 2025 e 2,5 il prossimo anno. Questa crescita intorno al 6,5% annuo resta però sotto la media europea in rapporto al PIL. E soprattutto deve accelerare: le aziende italiane devono affrontare sia l'aumento delle minacce informatiche, sia il maggior rischio cyber legato all'espansione delle infrastrutture digitali e all'adozione delle tecnologie più o meno emergenti (cloud e AI in primo luogo).
Il cloud computing sembra ormai scontato - e in effetti l'84% delle grandi imprese italiane ha portato i suoi dati critici di business in cloud - ma in realtà i margini di crescita del comparto sono ancora ampi. Nel 2024 le aziende italiane avevano investito per il cloud circa 8,3 miliardi di euro, nel 2025 saliremo a 9,6 e la previsione per il 2026 è di 11 miliardi.
Il cloud in generale piace: le imprese vi vedono un modo per avere infrastrutture IT sempre disponibili, flessibili, automatizzate. E nelle quali integrare facilmente i servizi innovativi del momento, come oggi l'AI. Proprio questa sta diventando il maggiore fattore di spinta per il cloud: richiede infrastrutture e potenza di calcolo che è molto più semplice attivare in cloud che non on-premise.
Peraltro, l'approccio delle aziende italiane al cloud appare maturo e pragmatico. In particolare, le aziende adottano sempre più strategie multicloud e di cloud ibrido per massimizzare la flessibilità operativa e sono abbastanza attente a temi come privacy, resilienza e sovranità dei dati. Per questo cercano ambienti cloud qualificati e provider di fiducia, possibilmente anche vicini geograficamente.
Tra i New Digital Driver, l'Intelligenza Artificiale è quello con maggiori potenzialità. Non perché le aziende italiane non la conoscano ma perché il boom della GenAI ne ha definitivamente democratizzato l'adozione. Così nel 2024 il mercato italiano dell’AI, secondo l'Assintel Report, ha superato il miliardo di euro di giro d'affari (1.083 milioni di euro, per la precisione) e dovrebbe chiudere il 2025 a quasi 1,5 miliardi per poi arrivare a 1,96 nel 2026.
Si tratta di crescite annue superiori al 30%, le più alte per tutti i New Digital Driver. Il motivo è che l'AI, specie in versione GenAI, costa: servono investimenti iniziali per concretizzare i progetti e la spesa corrente è comunque elevata. Ciononostante, tutte le aziende italiane di una certa dimensione sono interessate a investire in AI. Spicca però il fatto che le grandi imprese (oltre 250 addetti) mostrano una propensione molto più marcata: il 27,7% ha già investito in AI e il 60,5% intende farlo nel 2025-2026. Man mano che cala la dimensione aziendale, cala anche la propensione ai futuri investimenti in AI: al 40,1% per le aziende con 100-249 addetti, poi al 30,9% (50-99 addetti) e al 16,9% (10-49 addetti).
Questa dinamica lascia intendere che le criticità associate all'AI sono rilevanti. Le imprese segnalano soprattutto la necessità di individuare i casi d’uso a maggior valore e più scalabili, la mancanza di una cultura dell’AI, la difficoltà di seguire una evoluzione tecnologica molto rapida, la presenza di normative limitanti. Tutte questioni che una grande azienda può gestire molto meglio di una medio-piccola realtà