Aumentano i lavoratori da remoto, soprattutto nelle PA. Rialzo nelle grandi imprese e contrazione nelle Pmi. Il 21% degli impiegati potrebbe svolgere da remoto almeno metà attività: circa 6,5 milioni di smart worker potenziali.
Autore: Redazione ImpresaCity
Dopo il lieve calo del 2024, tornano a crescere gli smart worker in Italia. Nel 2025 sono circa 3.575.000 i lavoratori che per almeno parte del loro tempo operano da remoto, +0,6% rispetto allo scorso anno. Il maggiore aumento, +11%, si registra nel settore pubblico, in cui oggi 555.000 persone lavorano in smart, pari al 17% dei dipendenti della PA. C’è un rialzo anche nelle grandi imprese (+1,8%), dove oggi il 53% del personale lavora da remoto (1.945.000 persone), mentre le piccole e medie imprese sono in controtendenza: qui i lavoratori da remoto si riducono sensibilmente (-7,7% nelle PMI, -4,8% nelle microimprese) per rappresentare solo l’8% del totale.
Oggi sono presenti iniziative di Smart Working in praticamente tutte le grandi imprese italiane (95%, stabili rispetto allo scorso anno) e nel 67% delle PA (6 punti in più rispetto al 2024), quasi sempre con progetti strutturati in cui sono definite policy o linee guida. Mentre tra le PMI le adotta il 45% (8 punti in meno rispetto al 2024) e prevalentemente attraverso una gestione informale, in cui la flessibilità deriva da accordi diretti con il responsabile.
L’opportunità dello Smart Working continua ad essere utilizzata dai lavoratori con assiduità. Nelle grandi imprese, solo il 15% dei lavoratori lavora da remoto meno giorni di quelli previsti dall’accordo con l’organizzazione, soprattutto per la necessità di recarsi in sede per urgenze o emergenze. Nelle PA lo fa il 28%, soprattutto per scelte personali. Nelle PMI la situazione è eterogenea: circa metà lavora da remoto per i giorni definiti dall’accordo, il 22% utilizza di meno questa possibilità, ma c’è anche un 15% che la usa di più, visto le maggiori deroghe possibili con l’approccio informale.
In questo scenario, lo Smart Working in Italia rappresenta ormai un fenomeno stabile, che si è lasciato definitivamente alle spalle le disposizioni di emergenza del periodo covid. A scapito dei modelli più estremi, a diffondersi è un modello di lavoro ibrido in cui lavoro in presenza e da remoto si alternano in funzione dei bisogni personali e organizzativi, secondo policy o linee guida definite dall’organizzazione. Sia i lavoratori che le organizzazioni che adottano lo Smart Working ne apprezzano sempre più gli effetti e, indipendentemente dalle normative, difficilmente tornerebbero indietro.
Ma lo Smart Working non ha ancora raggiunto il picco massimo. Tra coloro che non lavorano da remoto, il 21% dichiara che potrebbe svolgere almeno metà delle attività da un luogo diverso rispetto alla sede aziendale con la stessa efficacia e la stessa dotazione tecnologica: questo permette di ipotizzare un potenziale di circa 3 milioni nuovi smart worker, che ci avvicinerebbero al picco di 6,5 milioni toccato durante la pandemia. Mentre si diffonde ulteriormente, in futuro lo Smart Working potrebbe allargare la platea di lavoratori beneficiari della flessibilità. Per coloro che non lavorano da remoto, la forma più desiderata di flessibilità è quella oraria e, come declinazione di questa, la settimana corta, che oggi è presente solo nel 10% di organizzazioni di grandi dimensioni e in molti casi è ancora in fase di sperimentazione.
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano,presentata al convegno “Lo Smart Working ai tempi dell’AI: opportunità e sfide verso il lavoro del futuro”.
“Lo Smart Working in Italia è oggi una realtà consolidata, soprattutto nelle grandi imprese – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. Sempre più organizzazioni abbandonano modelli tradizionali in presenza per adottare modelli ibridi che alternano il lavoro in sede a quello da remoto, in cui l’obiettivo è costruire un equilibrio virtuoso tra le due modalità, garantendo coesione di team, autonomia individuale e mantenimento del legame con l’organizzazione. Oggi il vero interrogativo per i manager non riguarda “se” fare Smart Working, ma come far evolvere i modelli per renderli sempre più efficaci ed evitare che si assestino in routine “scontate” che non garantiscono la necessaria tensione al miglioramento. Per sfruttare appieno le potenzialità di trasformazione dello Smart Working, capi e collaboratori devono lavorare per rafforzare continuamente la capacità di assegnare e perseguire obiettivi di progetto, di delegare e di sentirsi responsabilizzati sui risultati, mentre le organizzazioni devono riflettere sull’evoluzione di questi modelli per rispondere alle esigenze emergenti delle persone e cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica”.