Praticamente tutti gli Stati membri UE chiedono una rivisitazione del Chips Act europeo: serve un approccio più concreto e più integrato
Autore: f.p.
C'era una volta il Chips Act europeo, pensato in tempi in cui la geopolitica non era ancora una questione di rilevante impatto su qualsiasi settore industriale. O, meglio, quando si pensava che il confronto geopolitico non sarebbe stato (anche) tra le due sponde dell'Atlantico e che, quindi, le aziende statunitensi leader di settore avrebbero avuto interesse e mezzi per investire anche in Europa. E invece.
Così il vecchio Chips Act ora va cambiato, perché le condizioni di base sono anch'esse drasticamente cambiate. E per una modifica del piano europeo si esprime chiaramente, in una lettera aperta, la Semicon Coalition, denominazione simbolica che nasconde dietro di sé, da qualche tempo, un numero crescente di tutti gli Stati UE. Per l'Italia, parte della coalizione dal primo momento, il firmatario è il ministro Adolfo Urso del Mimit.
La lettera aperta parte da una premessa consolidata: l'industria della microelettronica e dei semiconduttori è chiave non solo per quanto i chip, di ogni tipo, sono alla base di qualsiasi prodotto o servizio, ma anche perché avere in questo campo un ecosistema europeo funzionale è essenziale per qualsiasi discorso sensato sulla sovranità e sulla resilienza europee. Certo ci sono da fare anche ovvie considerazioni di mercato e di business, ma in parallelo l'attenzione si è spostata su temi più complessi.
Il primo EU Chips Act in qualche modo ha funzionato, spiega la coalizione, ma resta il fatto che è sempre fuori dall'Europa che si vede la maggiore creazione di valore. Probabilmente perché qui da noi l'industria dei chip non è ancora considerata strategica quanto i settori Difesa e Aerospazio, di conseguenza non attrae abbastanza investimenti e non è sufficientemente tutelata. Serve quindi una nuova strategia "rafforzata", un cambio di passo "ambizioso". Ma anche improntato alla concretezza, perché - la Semicon Coalition è netta su questo punto - l'obiettivo iniziale di conquistare il 20% del mercato globale dei chip è "irrealistico e troppo generico, senza una chiara strategia su come e perché l'Europa dovrebbe guidare la catena del valore dei semiconduttori"
Vale giusto la pena evidenziare che la stessa Semicon Coalition, nello spiegare cosa adesso andrebbe fatto, parte altrettanto genericamente quando spiega che un nuovo EU Chips ACt dovrebbe basarsi sugli obiettivi strategici di "prosperità, indispensabilità, resilienza". Ma poi si rimette in carreggiata subito declinando questo approccio in una sequenza di policy mirate. Le quali tra l'altro mettono in evidenza un concetto chiave che, purtroppo, spesso manca nelle iniziative europee: qualsiasi sviluppo tecnologico non vive da solo ma è circondato da una miriade di altri fattori a supporto che devono anch'essi essere considerati ed agevolati. Senza una visione integrata di questo tipo ogni sforzo parte azzoppato, anche con la massima buona volontà.
Anche per questo la coalizione spiega innanzitutto che per avere un comparto semiconduttori europeo in salute serve un "forte ecosistema complementare con le giuste precondizioni". Obiettivo che si può raggiungere sì favorendo la collaborazione tra imprese diverse e fra pubblico e privato, ma non senza considerare che questa collaborazione deve coprire tutta la "technology pipeline" che va dalle tecnologie di base all'industrializzazione. E richiede come precondizioni elementi magari poco tecnologici come permessi legali, accesso all'energia e alle materie prime, infrastrutture logistiche. Ma anche una visione davvero paneuropea in cui le aziende di Paesi diversi possano facilmente collaborare e arrivare sul mercato.
Secondo punto chiave, i fondi: pubblici e privati che siano, se ne sono sempre troppo pochi per far crescere il mercato come dovrebbe. Anche qui gli estensori della lettera aperta sottolineano che la buona volontà "finanziaria" della UE si perde in tanti rivoli di finanziamenti nazionali, comunitari e privati che non sono allineati fra loro, mentre dovrebbero esserlo per avere effetti di scala. Alla UE si chiede anche minore rigidità in processi che magari hanno funzionato in passato ma non più ora: gli Ipcei collegati alla microelettronica hanno bisogno di procedure più semplici, e le norme sulla concorrenza non devono frenare lo sviluppo tecnologico del settore. I fondi privati, poi, continuano un po' a mancare all'appello e questo sta frenando soprattutto la nascita e la crescita delle startup tecnologiche europee.
Un'altra direttrice di sviluppo necessaria è legata alle competenze. Al mercato serve una forza lavoro con nuove skill e questo, secondo la Semicon Coalition, richiede una maggiore collaborazione tra le istituzioni accademiche fra loro e con il settore privato. Il suggerimento è anche quello di creare uno European Chips Skills Programme che stimoli la formazione nelle materie scientifiche e lo sviluppo di iniziative di vocational training, upskilling e reskilling. E se si possono anche attrarre - e mantenere - talenti da tutto il mondo, meglio ancora.
Questa visione "globalizzata" del mercato delle competenze rimanda alla consapevolezza della coalizione che l'Europa non può davvero giocarsela da sola sul mercato della microelettronica. Serve creare alleanza con altre "like-minded countries", nazioni (e loro imprese) che abbiano la nostra stessa visione geopolitica - nei limiti del possibile - e che aiutino a creare una supply chain "solida" del comparto semiconduttori. Una supply chain che ovviamente presenterà delle interdipendenze, ma che risulterà resiliente perché queste non saranno critiche o a rischio.
È positivo poi che la Semicon Coalition metta in evidenza anche la necessità di arrivare a una industria della microelettronica "green". Lo si fa sviluppando nuovi prodotti che aiutino a ridurre l'impatto ambientale collegato ai chip, quindi prodotti ad esempio più efficienti dal punto di vista energetico e pensati anche per la circolarità. E più in generale spingendo processi di produzione dei chip che evitano sostanze dannose, usano fonti energetiche rinnovabili, consumano meno acqua, promuovono l'uso circolare dei materiali di scarto.