ImpresaCity Magazine n63 anno 2022

L'IT vive una specie di lunga Pax Romana in cui sono tutti d’accordo che il presente e il futuro della digitalizzazione sta nel cloud.

Autore: Redazione ImpresaCity

L'IT vive una specie di lunga Pax Romana in cui sono tutti d’accordo che il presente e il futuro della digitalizzazione sta nel cloud.

Le forme e i modi della “cloudification” delle imprese possono variare, ma il mantra è quello. E in un mercato a crescita continua - perché la parte delle aziende solidamente “cloudificate” è ancora minoritaria - questo mantra garantisce business per tutti: chi fa hardware, chi fa software, chi offre servizi, chi propone consulenza.

La Pax Romana, quella vera, è durata una cinquantina d’anni. Poi i barbari hanno iniziato a premere ai confini dell’Impero e le cose si sa come sono andate. Ora anche l’IT ha i suoi “barbari”: quelli che sempre più spesso propagandano l’eresia della cloud repatriation. Eresia non perché un’azienda non possa riportare workload e dati in casa, ma perché questo è sempre stato visto come un caso particolare, in ottica di sovranità dei dati, privacy, sicurezza. Una opzione, non una generica scelta di approccio. Solo che, dopo la sbornia IT forzata del 2020-21, ora il vento è cambiato.

Tutti fanno molto più caso a quanto spendono e per cosa, e il cloud è una voce di costo che non fa eccezione. Le imprese fanno i conti e prendono decisioni in merito al ritorno dei loro investimenti. E qualcuna può anche decidere che la repatriation abbia un senso.

Pragmaticamente, la questione sarebbe questa e sarebbe chiusa in fretta. Anche perché la percentuale delle aziende che alla fine diranno “Cloud? Ci abbiamo provato e... no, grazie” sarà limitata...


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