Verso le nuove Smart City

La pandemia ha messo in discussione il fascino delle grandi metropoli, ma non il concetto di Smart City

Autore: f.p.

Il mantra del post-Covid è che la pandemia, con i relativi lockdown, ha cambiato il nostro punto di vista su molti temi. Molte cose che oggi sono apprezzate e fortemente richieste, una volta erano anomalie. L'esempio più evidente è forse il remote working. Questa trasformazione dei punti di vista riguarda anche il concetto di Smart City? Viene naturale chiederselo, dopo che i lockdown hanno messo in discussione l'appetibilità - e quindi il ruolo - delle grandi città. Preferiamo rendere smart i borghi e non le metropoli? O è una discussione limitata alle nazioni, come la nostra, in cui il divario tecnologico e di servizi tra grandi e piccoli centri non è poi così elevato come altrove?

Intendiamoci, i macro-trend che hanno guidato lo sviluppo delle Smart City non sono cambiati. Soprattutto, la previsione per cui nel 2050 il 65-70% della popolazione mondiale sarà inurbata può cambiare di qualche punto percentuale ma non nella sostanza. La spinta a realizzare città "intelligenti" resta quindi molto forte. Specie là dove le grandi metropoli sono megalopoli da oltre dieci milioni di abitanti, impossibili da gestire se non con approcci smart. Ovunque, però, il 2020 ha lasciato un messaggio importante. Le Smart City non devono essere pensate solo per l'efficienza dei loro servizi. Le parole d'ordine oggi sono l'immancabile "resilienza" e la più sottile, perché meno inquadrabile, "inclusività".

L'attenzione alla resilienza, ossia alla capacità di reagire efficacemente alle situazioni di emergenza o di stress sistemico, è stata molto amplificata dal 2020 pandemico. Si è visto che l'efficienza (presunta) delle singole componenti di una Smart City non basta a garantire sempre e comunque una capacità di reazione adeguata. La logica vincente - e non è un tema nuovo - è quella dell'ecosistema sinergico. Componenti anche non ottimali se prese singolarmente, riescono a gestire meglio l'emergenza se sanno compensarsi l'una con l'altra. In una sinergia duale: che riguarda le componenti dello stesso tipo (ad esempio il trasporto: pubblico, privato, micromobilità, sharing...) e che attraversa i vari strati tecnologici di una città intelligente.
In questo senso i vari modelli di Smart City proposti negli anni convergono verso una concezione modulare a tre livelli. Una base hardware-oriented abilitante, fatta di reti di sensori di vario genere, specifici per applicazione, e di reti di telecomunicazioni diversificate. Poi un layer di componenti software che aggregano, analizzano ed elaborano i dati raccolti sul campo per trasformarli in informazioni utili. Infine, un terzo layer fatto di applicazioni e servizi più mirati e verticali che hanno come destinatari soprattutto i cittadini.

Attenzione, però. I servizi e le applicazioni smart che interessano ai cittadini, specie in momenti di crisi, non sono necessariamente quelli che sembrano ottimali alle PA ed alle aziende. Tempo fa si teorizzava che le cosiddette PPP - le Public-Private Partnership - fossero la strada migliore per sviluppare servizi smart "di mercato". La logica di fondo resta valida ma ora c'è una netta tendenza, anche a livello comunitario, ad evitare la deregulation assoluta dei servizi smart in nome del loro potenziale innovativo. A volte serve piuttosto una re-regulation, per riportare equilibrio laddove i modelli di business del digitale vanno a scontrarsi con i modelli tradizionali portando, alla fine, svantaggi ai cittadini.

Qui si introduce il tema della inclusività: i cittadini - tutti, non solo quelli più benestanti o tecno-evoluti - devono essere al centro della progettazione dei servizi di Smart City. Corollario: il metro di giudizio principale per i servizi da Smart City è la propensione dei cittadini ad usarli. Non il loro appeal tecnologico, la forza di chi li propone o la (spesso presunta) carica innovativa. Altro corollario: coinvolgere i cittadini stessi nello sviluppo dei servizi intelligenti - e quindi in ultima analisi delle Smart City - è la strada migliore, anche se spesso ignorata, per garantirne il successo.
Questo vale come principio ma anche per una considerazione molto pragmatica. Diverse delle evoluzioni tecnologiche previste per le Smart City del prossimo futuro non saranno indifferenti per i cittadini. Ad esempio, IDC prevede già nei prossimi cinque anni una diffusione crescente di sensoristica, videosorveglianza, microtrasporto ibrido pubblico-privato, nuove reti di telecomunicazione, predictive policing e altre tecnologie digitali per l'ordine pubblico. Tutte evoluzioni che richiedono collegialità nel loro sviluppo.

Urbanisti e futurologi avvisano poi che lo sviluppo delle città sarà sempre più incentrato sulla qualità della vita dei cittadini e meno sulla pura efficienza. Questo inevitabilmente influenzerà lo sviluppo dei futuri servizi digitali delle Smart City. In generale, la pianificazione urbana punta decisamente ad una maggiore quantità di spazi verdi, a principi di economia circolare locale, al favorire comportamenti "sani" improntati al benessere, ovviamente alla sostenibilità. Non sono trend che intendono limitare la tecnologia. Anzi, possono trasformare le singole Smart City in laboratori di innovazione sempre aperti. Con ricadute positive per i cittadini ma anche per chi saprà sviluppare prodotti e servizi replicabili altrove. Le opportunità non mancano.

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