Trent'anni di Linux

Linux è diventato, dal quel lontano agosto 1991, il sistema operativo predominante. Ma il suo vero contributo all'IT è il modello open source.

Autore: f.p.

Il 25 agosto 1991 è considerata la data di "nascita" di Linux. Non è la data del suo debutto ma è forse più simbolica. Quella in cui Linus Torvalds chiedeva alla community dell'allora newsgroup di Minix indicazioni su cosa inserire in un nuovo sistema operativo Unix-like dopo aver già eseguito il porting di bash e gcc. "Avrò qualcosa di concreto tra qualche mese", scriveva Torvalds, infatti il primo rilascio del kernel Linux avverrà il successivo 17 settembre.

Oggi è facile considerare Linux il sistema operativo largamente predominante nell'IT aziendale. Tutti i cloud, per dire, si basano su una qualche distribuzione, anche molto personale, del sistema operativo del Pinguino. Persino Azure - il cloud di Microsoft, creatrice di Windows - lo impiega in vari modi. Linux è il sistema operativo su cui si basano server, sistemi iperconvergenti, mainframe, supercomputer. Ma anche molto altro: dai NAS ai media player passando per le automobili e arrivando in orbita alla ISS. E non dimentichiamo la pletora di nanocomputer per applicazioni dall'hobbystico all'industriale.

Linux ha mancato solo il successo sui desktop per il predominio di Windows. Che però oggi ha anch'esso, volendo, una componente Linux con il Windows Subsystem for Linux, o WSL. Ma è un mancato successo che ormai conta poco. Linux è comunque nelle tasche di tutti noi attraverso gli smartphone, i veri "snodi" della vita digitale. Linux è infatti il "papà" di Android (Apple iOS deriva da BSD, un "cugino" di Linux in quanto altro sistema operativo Unix-like).

Insomma, se d'improvviso Linux scomparisse dalla scena IT, tutto o quasi si fermerebbe. Non male per un sistema operativo che una ventina di anni fa veniva considerato, dalla maggioranza delle imprese, poco più di un giocattolo per esperti. Come era possibile basare l'attività di una impresa su un sistema operativo che non costava niente e che faceva capo a una generica "comunità" di sviluppatori? Le piattaforme serie erano ovviamente altre: proprietarie, costose, gestite direttamente da grandi software house.
Se oggi quella visione ci appare miope, è perché il vero contributo allo sviluppo dell'IT che ha portato Linux non è stato semplicemente un nuovo sistema operativo. È stato il modello stesso dell'open source e dello sviluppo comunitario. E la possibilità di mettere le mani, se si avevano le giuste competenze, nei prodotti software per adattarli alle proprie esigenze. Che lo facesse direttamente il team IT di una impresa oppure un'azienda partner esterna non aveva e non ha molta importanza. Il concetto chiave è che si può fare: è il prodotto che si adatta all'utente e non, come era stato per lungo tempo, viceversa.

Non è un caso che la crescita prima e poi il successo di Linux siano arrivati in un periodo di grande accelerazione dell'IT e della digitalizzazione. Si tratta di un circolo virtuoso in cui questa accelerazione non sarebbe stata possibile senza quel successo. Linux permette di fare, in fretta, cose che una piattaforma proprietaria non consentirebbe di fare perché è monolitica e deve essere portata avanti da una sola azienda, quella che la possiede. Lo sviluppo open e comunitario permette invece di seguire molte direttrici diverse allo stesso tempo, sempre con la possibilità di collaborazione e "peer review" da parte di tutti.

Uno scenario che cambia

Nei trent'anni che Linux ha trascorso crescendo progressivamente, molto è cambiato nello sviluppo del suo mondo, non solo del kernel nello specifico. Linux è un progetto molto ampio che coinvolge oggi una intera community globale, con contributi da ovunque. E spesso si dice genericamente Linux ma si intende uno dei tanti progetti derivati in qualche modo dall'applicazione di Linux nelle imprese o nel cloud. Pensiamo ad esempio al successo travolgente del modello container grazie a Kubernetes.
Pensiamo anche al fatto che l'affermazione del modello open source lato software ha portato alla graduale, anche se molto meno evidente, crescita del modello open hardware. La differenza tra i due ambiti è, caso vuole, dimostrata dagli anniversari. Nel 2021 Linux compie trent'anni, la sua distribuzione aziendale di riferimento per l'enterprise (RHEL) circa venti (per la precisione 21), il consorzio principale per l'open hardware (la Open Compute Project Foundation) dieci. Una linea temporale simbolica per cui il modello "open" nasce, si afferma, si estende oltre il software.

Cosa può cambiare nei prossimi trent'anni - ma anche solo dieci - per Linux e per la sua filosofia? Di certo al centro dell'attenzione di tutti oggi c'è la cyber security: il vantaggio dell'open source è sempre stata la verificabilità del codice per chiunque, che facilita l'evidenziare e poi il risolvere i problemi e le falle di sicurezza. Ora la direzione su cui accelerare è quella della sicurezza intrinseca, by design. Non solo per il kernel di Linux ma per tutti i progetti open source, a partire da quelli di importanza per le imprese.

Bisogna però andare anche oltre. La nostra vita è sempre più digitale e fatta di codice che "gira" negli oggetti tecnologici e nei servizi digitali più disparati che ci circondano. Troppo spesso questi oggetti e questi servizi non sono davvero open e c'è poca possibilità di verificare, lato codice, il loro funzionamento. Per la cyber security ma anche per la privacy delle informazioni. C'è e ci sarà sempre più bisogno dell'apertura e della trasparenza del modello open source, in qualsiasi aspetto della tecnologia. Comunque cambi Linux in futuro, l'affermarsi di questa sua filosofia è il suo frutto più importante.

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