Workday: una nuova HR per il post-pandemia

Il mondo del lavoro non cambia solo per il remote working: secondo Workday serve una "quota digitale" più elevata nei dipartimenti HR

Autore: Redazione ImpresaCity

Attenzione ad archiviare la pandemia, per quanto riguarda la trasformazione del mondo del lavoro, solamente come l'affermazione del modello del lavoro ibrido. O come il boom del remote working, finalmente sdoganato anche nelle imprese più refrattarie all'idea del dipendente che non sta sempre in ufficio. Tutto questo è vero ma - sottolinea Workday - rischia di portare pochi vantaggi, o addirittura problemi, se l'accelerazione digitale introdotta dalla pandemia non diventa anche una occasione per rivisitare più ampiamente la gestione delle risorse umane.

Il punto da cui parte Workday è una ricerca secondo la quale, in Europa, quasi la metà (46%) dei dipendenti ha avuto un blocco motivazionale durante i lockdown, dovuto proprio al fatto di operare in una situazione anomala. In Italia la percentuale è più bassa (39%) ma comunque significativa. E non stupisce che salga (47%) nella fascia dei dipendenti più giovani. Che - spiega Federico Francini, Country Manager Workday Italia - "sono i più esigenti nel sentirsi ingaggiati e coinvolti, partecipi delle decisioni dell'azienda".

Il problema potenziale non è solo l'engagement per così dire "quotidiano". È anche una questione di prospettiva: quella che i dipendenti, specie i più giovani, cercano di dare al proprio ruolo all'interno dell'azienda in cui si trovano. La sensazione che il mondo del lavoro sia sempre più incerto oggi è forte e i dipendenti hanno compreso, perlomeno in una buona percentuale, che devono definire un percorso di crescita costante della propria professionalità. Ma spesso le imprese non danno loro gli elementi per farlo.
Il vecchio percorso di carriera da organigramma piramidale "granitico" è superato quasi ovunque. La mobilità interna in azienda è data dalla convergenza tra le competenze di cui l'impresa ha - e soprattutto avrà - bisogno e quelle che il dipendente ha o può sviluppare. Ma non tutte le imprese sanno delineare questa convergenza. "Mancano soluzioni che diano davvero informazioni sullo scenario della internal mobility, manca una mappatura degli skill richiesti nella carriera professionale e delle occasioni possibili di upskill e reskill", spiega Francini.

Il mondo HR va quindi rimodernato, con strumenti digitali che vadano oltre la parte amministrativa classica e il talent management vecchio stampo. Strumenti che, tra l'altro, contribuirebbero in parte a risolvere i problemi introdotti dalla mancanza dell'aspetto sociale e di comunicazione nel remote working. Strumenti la cui assenza porta molti dipendenti a pensare di cambiare azienda. "Soprattutto i giovani, nativi digitali e con esigenze più marcate", sottolinea Francini. E i talenti più giovani sono anche quelli che è più "costoso" perdere.

Una visione diversa

"Serve una tecnologia che permetta di introdurre la giusta dinamicità nelle imprese, per affrontare un mondo del lavoro che certamente continua a cambiare", evidenzia giustamente Francini. Ma serve anche una visione diversa da parte dell'impresa, spiega Riccardo Donelli, People & Organization, Partner, PWC. La centralità dell'individuo non deve essere solo un bello slogan ma bisogna puntare ad un approccio davvero "people-based e non organization-based".
Il richiamo è ovviamente al management ed alla componente HR delle aziende, ma anche ai dipendenti stessi. "Saper gestire il proprio percorso professionale non è qualcosa a cui siamo abituati - spiega Donelli - ma è il modello del futuro. Non potremo proteggere posti di lavoro a priori, mantenere organizzazioni con caselle statiche. Dobbiamo incentivare lo sviluppo delle skill e quindi delle persone. E ripensare il modo in cui le persone sono aiutate a fare proprio questo".

Anche qui si parte, come in molti altri campi, dall'analisi dei dati. "I dati raccontano delle persone una storia rivolta al futuro, non solo quello che hanno fatto in passato. Molto spesso sono disponibili all'interno delle aziende o sul mercato, ma non sempre sono trasformati in informazioni. Per questo serve lo sviluppo di sistemi basati su AI e su capacità evolute di analisi", sottolinea Donelli. Da qui nascono anche "percorsi di coaching digitale in cui le persone scoprano le capacità, molto spesso inespresse, che hanno e siano capaci di metterle a sistema". In una evoluzione necessaria, perché la pandemia ha mostrato nettamente i limiti delle organizzazioni tradizionali.

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