Media company: la digitalizzazione corre

Serve acquisire tecnologie e competenze digitali per rispondere ai nuovi entranti come Netflix o Apple. Ma l'innovazione resta anche una questione di cultura e strategie.

Autore: f.p.

Molti di noi non la vivono come addetti ai lavori, ma come consumatori digitali l'evoluzione tecnologica del settore media/intrattenimento è evidente. Anche in questo ambito i mesi del lockdown hanno fatto da acceleratore delle trasformazioni già in atto. Bloccati in casa, i consumatori di tutto il mondo hanno dato la definitiva consacrazione allo streaming multimediale. Lo si è visto subito nella crescita del traffico multmediale su Internet, ma soprattutto nella virata verso lo streaming delle major cinematografiche. Con l'esempio clou di Disney, per cui il debutto del primo blockbuster "solo streaming" (Mulan) ha rappresentato un punto di svolta strategico a lungo termine.

La pandemia ha accelerato anche il fenomeno dello spostamento della fruizione dei contenuti verso il mobile. Il video Gen Z (e a maggior ragione delle generazioni successive) scorre sul display degli smartphone. Come anche i social network, oggi tutti a rincorrere in varie forme TikTok. Che, insieme a fenomeni molto più consolidati come quelli degli Youtuber e degli streamer su Twitch, rende estremamente labile il confine tra consumo e produzione di contenuti. Un'idea che a McLuhan probabilmente sarebbe piaciuta: la fruizione multimediale passiva sta andando in pensione a favore di una fruizione attiva. Sempre più, una partecipazione.

Cosa significa tutto questo per chi opera nel settore media? Innanzitutto dover cavalcare una evoluzione tecnologica tutt'altro che semplice. Quella che in altri mercati, ad esempio il retail, viene definita semplicemente come multicanalità qui diventa una vera e propria convergenza evoluta. Il punto infatti non è solo raggiungere il cliente là dove si trova, fisicamente e digitalmente. Ma piuttosto potergli fornire il contenuto che vuole, nella forma che preferisce, attraverso il device che vuole usare in un dato momento.
Insomma, il digitale non è il Piano B dell'entertainment tradizionale per raggiungere i consumatori più giovani. È l'unico piano possibile in assoluto. Il punto chiave è sempre quello che associamo al concetto di digitalizzazione: la flessibilità. Chi semplicemente produceva o distribuiva contenuti ora si trova a fare i conti con un mercato fatto di realtà più trasversali, in cui non si può dire che tutti fanno tutto - dalla produzione alla distribuzione verso pubblico - ma poco ci manca. E chi ha decenni di vita alle spalle può contare certo sulla sua esperienza. Ma deve anche scontare abitudini, processi e sistemi tecnologici che non sono stati pensati per questa elasticità.

Tenendo poi conto che bisogna diventare flessibili in fretta, perché in fretta cambiano le tecnologie in gioco e le abitudini dei consumatori. Una evoluzione tutt'altro che semplice attende quindi le aziende del settore media. Così non sorprende come, in una recente indagine EY sul settore, il 28% del campione dei dirigenti intervistati abbia indicato che sa di dover reinventare il proprio business, ma non sa a cosa dare la priorità in questa trasformazione. E, di conseguenza, che ruolo abbia la digitalizzazione in questi cambiamenti.

Prima efficienza, poi personalizzazione

Secondo i principali osservatori di mercato, il primo contributo che possono dare le nuove tecnologie è poco appariscente ma molto concreto: permettere di operare in maniera più efficiente. Questo vale per tutti i settori, oggi vale in particolare per le aziende media perché la maggiore efficienza porta una riduzione dei costi che si deve trasformare in una maggiore capacità di investire nel nuovo. Non quindi un semplice taglio delle spese, che porta spesso a una riduzione nella qualità dei contenuti.
Un punto critico per molte media company è che l'efficienza operativa si può raggiungere in parte attraverso le tecnologie - si pensi ad esempio all'automazione collegata all'Intelligenza Artificiale, che molti indicano come il primo passo dell'efficientamento - ma se si vuole passare una certa soglia occorre altro. Serve una riorganizzazione di molti processi, se non proprio di parti importanti dell'organizzazione aziendale. Un passo che richiede parecchio coraggio e una visione chiara del futuro.

Altra priorità sulla quale sono tutti d'accordo è arrivare a un livello maggiore di conoscenza e di interazione con chi fruisce dei contenuti digitali. È stato questo, in parte, il segreto del successo dei nuovi entranti sul mercato: dare all'utente la possibilità di costruirsi un proprio palinsesto di contenuti, di cui fruire liberamente. Essere digitali non è quindi solo trasporre la TV, la radio o il giornale in un canale digitale. Significa cedere in buona parte il controllo del flusso di fruizione, ricavandone in cambio una fidelizzazione che poi porta ricavi nel medio-lungo periodo.

Il problema è che una parte cospicua delle media company non ha fatto granché, in questi anni, per conoscere in dettaglio i propri clienti. Peggio ancora, spesso ha in un certo senso appaltato questa ricerca di dati alle piattaforme pubblicitarie. Che ora detengono una conoscenza preziosa. Così, una delle principali priorità delle aziende del settore è diventata la ricerca di informazioni, da tradurre poi in indicazioni per attività concrete.
Tecnologicamente, questo significa che le media company devono affrontare la stessa evoluzione vissuta da altri ambiti di mercato che si rivolgono a una clientela di massa. Ossia, in primo luogo, consolidare e "pulire" i dati che già possiedono sui clienti. Poi, fare in modo di ricavare maggiori informazioni con nuove sorgenti di dati, possibilmente "first party data" controllati direttamente ma anche "third party data" forniti da altri. Infine, accelerare una evoluzione sia tecnologica sia culturale che permetta di dare questi dati in pasto a funzioni ed esperti di analytics.

C'è insomma davvero molto da fare. E mai come in questa fase, per i manager è difficile mettere insieme una visione a lungo termine con i risultati a breve-medio periodo (il che poi, se vogliamo, è un altro mantra della digitalizzazione ideale). Così qualsiasi cambiamento sembra più lento di come dovrebbe essere. Eppure, proprio l'indeterminatezza di questi mesi potrebbe essere l'occasione giusta per drastiche correzioni di rotta nelle strategie. Le scelte tecnologiche vengono di conseguenza.

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