Impresa 4.0: il manufacturing italiano tra tattica e strategia

Le aziende manifatturiere hanno capito l'importanza delle tecnologie Industry 4.0, l'evoluzione che ancora manca è considerarle in un'ottica di ampio respiro. Per cambiare le regole del gioco.

Autore: f.p.

Le aziende italiane del manufacturing hanno fatto decisi passi avanti nell'adozione delle tecnologie Industry 4.0. Così la consueta constatazione per cui l'Italia è la seconda potenza manifatturiera europea non è più solo una consolazione per i pessimisti. È sempre un fatto concreto, in più dovrebbe essere un punto di vista da cui valutare nuovi indicatori positivi evidenziati da più parti: la presenza di oltre cinquemila imprese manifatturiere ad alta tecnologia, un tasso di adozione del cloud superiore alla media UE, l'ottavo posto mondiale per l'adozione di robot nel manufacturing, il settimo per la loro produzione.

I segnali positivi insomma ci sono. C'è un però un altro fattore importante da considerare: l'attitudine di chi le nuove tecnologie le acquista e le implementa, ossia i responsabili aziendali. Perché se a credere nelle potenzialità del manufacturing italiano non sono per primi loro, non ci sono buoni indicatori che tengano.

A valutare il "sentiment" dei manager del manufacturing è stato un report di Deloitte, che delinea uno scenario da classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di chi lo guarda. L'indicazione di sintesi è che la maggioranza (52 percento) dei manager italiani considera l'Italia allo stesso livello degli altri Paesi europei in Industry 4.0. Solo il 6 percento degli intervistati però considera l’Italia ad un livello più avanzato delle altre nazioni e questa poca fiducia nel Paese appare legata a considerazioni di sistema, più che alle potenzialità delle singole imprese. I fattori di freno maggiormente indicati sono infatti i pochi investimenti pubblici e privati in innovazione, con in subordine una arretratezza italiana nel campo della ricerca e dell’istruzione.


Quando però ai manager viene chiesto di valutare lo stato della propria impresa, le impressioni sono molto più positive. Il 30 percento del campione giudica infatti la propria azienda più avanzata della concorrenza per l’adozione delle tecnologie Industry 4.0, mentre il 44 percento la posiziona allo stesso livello.

È solo per ottimismo che quasi otto responsabili su dieci si sentono "solidi" nell'applicazione delle tecnologie più innovative? Non sembra, perché altre domande di contesto indicano che i manager hanno preso sufficientemente coscienza di quanto l'innovazione - in particolare le tecnologie smart ed autonome - impatterà comunque sulla loro attività. E appaiono anche ben convinti del fatto che la tecnologia sia sempre più un fattore di differenziazione e competitività.

Fin qui tutto bene. Anche perché la percezione del valore delle tecnologie si accompagna a una loro effettiva diffusione: nel campione esaminato di Deloitte sono già in uso o in roll-out tutte le tecnologie genericamente collegate al modello Industry 4.0. Se aggiungiamo allo scenario anche i progetti pilota, appaiono diffuse in meno della metà delle imprese solo le tecnologie più di nicchia: dal quantum computing alle nanotecnologie passando per la stampa 3D e blockchain.


In tutto questo, ciò di cui si sente la mancanza è il famigerato "business case" a supporto dell'innovazione. Le aziende sono cioè consce dell'importanza delle tecnologie ma raramente (6 percento dei casi) hanno ben chiaro come implementarle in maniera convincente ed efficace per il proprio business. Non è una lacuna solo italiana, dato che a livello globale la percentuale dei "ben convinti" è di poco superiore (8 percento).

Il problema italiano, in questo senso, è che una comprensibile incertezza di fronte alle nuove tecnologie si fonde da un lato con una visione strumentale delle tecnologie stesse, dall'altro con una bassa propensione a fare in modo di poterle "dominare" direttamente. Lo si vede nelle risposte che indicano le ragioni per cui si investe in nuove tecnologie: prevale (43 percento di citazioni, la media mondiale è 29) la soddisfazione del cliente, contano molto poco il livello di comprensione delle tecnologie (10 percento contro 32) e la disponibilità di talenti per sfruttarle (9 percento contro ancora 32).

L'impressione è quindi che le aziende italiane restino bloccate nella classica diatriba tra tattica e strategia, agendo in fretta dove sembra più necessario ma senza sentirsi le spalle ben solide. E il circolo (vizioso) continua. Per romperlo serve, come sottolinea Deloitte, assumere una prospettiva di più ampio respiro sulle modalità con cui utilizzare e combinare un insieme di tecnologie sempre più “intelligenti” e interconnesse, integrandole efficacemente con quelle già presenti all’interno dell’organizzazione. In sintesi, non basta fare meglio le cose che già si fanno ma bisogna imparare a fare cose nuove.

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