Autore: f.p.
Le vicissitudini di Silicon Valley Bank, la banca simbolo della Silicon Valley e delle startup, possono cambiare gli equilibri là dove nasce l'innovazione tecnologica americana? E questo può riflettersi anche da noi? La domanda è un po' provocatoria - il quasi-fallimento di SVB non è certo un evento sistemico - ma vale la pena porsela, perché negli USA il "sentiment" è che alcuni segnali chiave la vicenda li abbia dati.
Ricapitoliamo i fatti. SVB è una banca storica della Silicon Valley, che negli anni ha supportato molte startup e scaleup della zona. È di fatto "la banca delle startup": sbilanciata come nessun'altra verso un tipo assai particolare di clienti. Con dinamiche tutte loro: non hanno problemi di denaro perché sono adeguatamente finanziate dai Venture Capital, però non fanno utili e anzi bruciano denaro a ritmo sostenuto.
Per questi motivi, una banca tradizionale considera startup e simili come clienti troppo rischiosi. E non li gestisce. SVB e poche altre banche del genere hanno colmato questa lacuna, fidando sulla capacità delle startup di recuperare denaro non dal mercato ma sul circuito degli investitori privati. Una liquidità ottenuta non vendendo prodotti ma, in un certo senso, idee.
Il sistema ha funzionato perfettamente finché il denaro costava poco o niente, ossia finché i tassi di interesse si sono mantenuti bassissimi. Poi l'inflazione ha cominciato a salire e i tassi di interesse sono stati alzati un po' ovunque. Di per sé, questo non comporta un vero problema. Ma per SVB ha scatenato un pericoloso effetto-domino, a causa di alcune scelte tutt'altro che ottimali.
SVB aveva usato il (molto) denaro depositato dai suoi clienti per investire in bond a basso, ma sicuro, rendimento. Quando i tassi di interesse si sono alzati, quei bond sono apparsi meno interessanti (e quindi poco rivendibili) perché nel frattempo ne erano stati emessi altri con un rendimento più elevato. SVB avrebbe potuto aspettare con calma la scadenza dei suoi bond e comunque ricavare un margine. Piccolo, ma comunque positivo. L'errore è stato, contestualmente all'insorgere di uno scenario "macro" poco positivo per le startup e i VC, proporre al mercato la vendita di oltre un miliardo di dollari in azioni per finanziarsi.
Questa azione è stata interpretata come un segno di crisi e debolezza, tanto che molti VC hanno consigliato alle startup che controllano di abbandonare la banca. Nel frattempo, altre neoaziende avevano avuto la stessa idea, anche senza la spinta degli investitori. SVB si è trovata quindi di fronte a una fuga di clienti che non poteva liquidare. Nessuna banca potrebbe liquidare in massa la maggioranza dei suoi clienti perché nessuna tiene davvero bloccati in liquidità i loro depositi. Ma SVB non poteva assolutamente farlo nemmeno in parte, per le sue dimensioni e per gli investimenti bloccati in bond poco vendibili.
Senza l'aiuto delle autorità statunitensi, Silicon Valley Bank sarebbe semplicemente fallita e i suoi clienti avrebbero perso il loro denaro. Esclusi quelli con depositi piccoli (si fa per dire: meno di 250 mila dollari) e assicurati per legge, che però erano una minoranza. A cascata, le startup coinvolte avrebbero dovuto probabilmente chiudere e questo sì sarebbe stato un evento sistemico. Così fortunatamente non è stato.
Quindi abbiamo avuto il nostro lieto fine e possiamo scordare tutto? A Washington la pensano diversamente. Il timore - fondato, peraltro - è che nel nuovo scenario macroeconomico, fatto di incertezza e di crescita del costo del denaro, certe dinamiche non siano più sostenibili. Il caso SVB mostra quanto le banche "da startup" siano troppo piccole e deboli per sostenere crisi profonde. Un fallimento porterebbe il crollo a catena di molte altre aziende e ripercussioni importanti per migliaia di persone. E non ci sono sole le banche in gioco: è tutto un sistema che convince sempre meno.
D'altro canto, il salvataggio automatico di banche e altre realtà finanziariamente esposte non è scontato. SVB non è stata salvata usando il tanto citato "denaro dei contribuenti", ma l'operazione non è piaciuta a tutti, fuori dalla Silicon Valley, e non è replicabile facilmente. Fuori dagli Stati Uniti, nei vari ecosistemi locali delle startup, l'idea è ancora meno praticabile.
Le piccole banche "avventurose" dovrebbero essere sostituite da banche più grandi e normali, con un portafoglio clienti più diversificato e quindi meno rischioso. L'idea ha senso, anche perché ci sono effettivamente banche interessate a mettere piede nel mondo dell'innovazione tecnologica. SVB UK, per dire, è stata acquisita da HSBC (per una misera sterlina) proprio per assorbire il suo parco clienti.
Ma questo tipo "normale" di banche non è flessibile come SVB e compagnia. I requisiti finanziari standard possono essere allentati ma non più di tanto. E le varie Authority nazionali e internazionali sono poco disposte ad allentarli: è in questo senso ironico che il CEO di SVB sia stato, in passato, anche molto deciso nel chiedere regolamentazioni lasche per banche come la sua, descritta come intrinsecamente a basso rischio.
Lo scenario macroeconomico, poi, non promette di migliorare a breve e il costo del denaro non si abbasserà in fretta. Il che rende più difficile, per le startup, attrarre investimenti dagli stessi VC e anche arrivare a certe valutazioni "monstre" date ad aziende che ancora non hanno fatto granché, in fondo. Insomma, molte cose potrebbero cambiare in breve tempo.
Intendiamoci, nessuno può chiedere a una startup di portare utili dopo poco tempo. Ma certamente le si può chiedere di sviluppare una visione strategica sensata sul suo percorso di crescita, di controllare le sue spese e di non fare promesse che non può mantenere. Anche per le startup sembra doverci essere un "new normal" da tempi di crisi. Da questo punto di vista, se qualcosa cambierà l'impatto culturale sarà rilevante soprattutto nella Silicon Valley del "move fast, break things". Ma anche qui da noi si attende una maggiore attenzione: non è pensabile che lo scenario delle startup europee possa essere diverso.
Estendendo il ragionamento, viene da chiedersi se la morale del caso SVB possa essere di insegnamento anche per le grandi imprese tecnologiche globali. Che sono ovviamente molto più solide delle startup, ma che spesso si stanno muovendo in una logica di crescita aprioristica che appare sempre meno sostenibile.