Veeam, ancora lontani dall'always on business

L'Availability gap ostacola la digital transformation e costa alle aziende 21,8 milioni di dollari all’anno. E' ciò che emerge dal Veeam Availability Report 2017. Albert Zammar, VP SEMEA di Veeam Software, illustra le principali evidenze e inquadra lo scenario di riferimento

Autore: Barbara Torresani

Nella Digital Economy i dati e le applicazioni mission critical continuano ad aumentare in modo esponenziale rispetto al passato; da qui la necessità di garantire un accesso e una disponibilità 24 ore su 24, 365 giorni su 365: “Mentre 15 anni fa le applicazioni mission critical si aggiravano nell’intorno del 5% del totale delle applicazioni all’interno di un data center on premise, oggi invece si parla di circa il 77% di applicazioni critiche. Per le aziende alle prese con processi di trasformazione digitale quindi non c’è più tolleranza per i disservizi in questo senso e la mancanza di disponibilità di dati e applicazioni ha un impatto molto significativo non solo in termini finanziari”, afferma Albert Zammar, Vice President Semea di Veeam Software, nel presentare l’annuale ricerca Veeam che indaga il livello di ‘Availability Gap’ nelle aziende a livello mondiale.

Albert Zammar, Vice President Semea di Veeam Software

Se quindi l’Availability è una condizione necessaria per favorire il processo di Digital Transformation delle aziende, l’Availability Gap - il divario tra le aspettative degli utenti e quello che la tecnologia riesce a garantire - ne rappresenta un forte ostacolo.  E in questo senso i passi da compiere per chiuderlo sono ancora molti.
E’ ciò che emerge dalla sesta edizione del Veeam Availability Report 2017, quest’anno condotta per la prima volta dalla società di analisi statunitense Enterprise Strategy Group (ESG) al fine di avere una vista più estesa rispetto al passato, su un campione ben distribuito di 1.060 IT manager di aziende private e pubbliche in 24 nazioni con oltre 1.000 dipendenti (oltre il 20%) per arrivare fino a 100 mila  dipendenti. Tendenzialmente le Global 2000, di cui 30 aziende italiane. 


Oltre quattro aziende su cinque riscontrano un Availability Gap
Secondo il report, l’82% del campione (era 84% nel 2016) ammette di trovarsi spesso a convivere con un ‘Availability Gap’; significa che oltre quattro aziende su cinque riscontrano questo divario e l’impatto sul business di questa mancanza di disponibilità è enorme. Le interruzioni di servizio non pianificate costano alle aziende in media 21,8 milioni di dollari l’anno e registrano un incremento del 36% rispetto all’anno precedente (circa 16 milioni) in conseguenza dell’aumentare dei servizi e delle applicazioni critiche: “Rispetto al passato lo scenario è fortemente cambiato: non sono critiche solo le applicazioni tradizionali portanti come Erp e Crm, ma anche quelle come i social media e le email attraverso cui vengono mandati per esempio gli ordini e le fatture, e più in generale, i servizi web che coinvolgono non solo l’interno dell’azienda ma l’intera filiera aziendale aperta a fornitori e clienti. Sempre più quindi l’IT diventa un servizio fondamentale per l’erogazione del business di molte le aziende”, rimarca Zammar. E le implicazioni non sono solo economiche: l’impatto implica anche perdita di fiducia dei clienti (per il 48% del campione), perdita di fiducia dei dipendenti (33%), integrità del brand (40%) e necessità di riallocare risorse per ripristinare i servizi (28%).
Rispetto agli altre edizioni, inoltre, il 77% degli intervistati lamenta anche un Protection Gap – come capacità di recuperare dati persi secondo i livelli di servizio atteso. Nonostante le aziende affermino di poter tollerare solo 72 minuti all’anno di perdita di dati derivanti dalle applicazioni ‘ad alta priorità’, la ricerca mostra che gli intervistati in realtà subiscono 127 minuti di perdita di dati, una differenza di quasi un'ora. 



La trasformazione digitale è in atto
Se il processo di trasformazione digitale è considerato a tutti gli effetti una realtà da molte aziende (96%), basti dire che il 69% degli intervistati la considera fondamentale per il futuro e solo il 3% lo ritiene poco importante, occorre garantire l’alta disponibilità dell’infrastruttura e delle applicazioni (lo dice i 3/4 degli intervistati pari al 77%) affinché sia una trasformazione virtuosa. La disponibilità di dati e applicazioni rappresenta quindi una ‘conditio sine qua non’ per la trasformazione digitale mentre la sua mancanza un forte ostacolo: per la maggioranza dei responsabili IT (il 66%) le iniziative di trasformazione digitale subiscono ritardi a causa di interruzioni di servizio non pianificate, provocate da cyber attacchi, errori nell’infrastruttura, interruzioni nel network e disastri naturali. Si calcoli che la media di fermo del server è di 85 minuti per disservizio.  



Lo spaccato Italiano

C’è allineamento tra le aziende a livello mondiale e quelle italiane: le interruzioni di servizio non pianificate costano alle aziende italiane in media 20 milioni di euro annui, pari a una crescita del 36%. Ciò incide altresì sulla perdita di fiducia da parte dei clienti (48%), così come è molto sentito il fatto di dover riallocare risorse per fronteggiare il ripristino dei servizi (48%), il 24% del campione indica la perdita di fiducia da parte dei dipendenti, mentre meno sentita è la perdita di reputazione del brand (21%).
Per il 77% del campione italiano, inoltre, la trasformazione digitale è fondamentale per garantire il futuro dell’azienda stessa; il 43% sta programmando iniziative in questa direzione, mentre il 63% ammette che l’availability gap limita le iniziative di trasformazione digitale, così come rappresenta un ostacolo per i processi di virtualizzazione anch’essi alla base della digital trasformation delle aziende.



In generale, secondo gli intervistati le applicazioni critiche dovrebbero avere un disservizio non pianificato di massimo 7,5 minuti invece tale valore è di 25 minuti. “Oggi siamo veramente molto lontani dal garantire i livelli di servizi attesi dalle aziende in relazione alle applicazioni. Veeam di per sé sarebbe in grado di garantire e assicurare il ripristino anche in pochi secondi ma comunque nei contesti molto complessi è in grado di garantire un ripristino inferiore ai 15 secondi qualunque sia l’applicazione e l’infrastruttura”, asserisce Zammar.
In Italia le realtà che riescono però a garantire questi 7,5 minuti sono tendenzialmente ancora poche e sono quelle che dispongono di un data center secondario collegato ad alta velocità a quello primario, in grado quindi di offrire un servizio di vera Business Continuity: “Se si considera però che in Italia ancora oggi il 60% delle aziende di tutte le dimensioni ha un solo data center, è chiaro che siamo ancora lontani da questo risultato”. Nel Belpaese si nota però una propensione forte a portare il data center in cloud o a puntare alla virtualizzazione:Il tasso di virtualizzazione delle infrastrutture in Italia è intorno al 75% e in termini di attitudine a virtualizzare oggi in Europa l’Italia è seconda solo alla Finlandia”, illustra Zammar. 

I suggerimenti e la risposta tecnologica di Veeam
Per evitare di  imbattersi in un incidente di Availability Gap arrivano quindi i suggerimenti di Veeam: “Occorre  effettuare un assessment dettagliato dell’infrastruttura e – se esiste – di un eventuale availability gap immaginando cosa potrebbe succedere nel caso in cui uno o più servizi non dovessero funzionare;  quantificare gli Sla delle unità di business e valutare i meccanismi di protezione e le capacità di recupero; convertire i gap in analisi efficaci; non ultimo, adottare soluzioni di alta disponibilità in logica multicloud, enfatizza Zammar. In questo senso dal report emerge che la maggior parte delle aziende oggi sta considerando molto più che in passato l’adozione di infrastrutture di cloud ibrido: “Il report evidenzia che numerose imprese considerano il cloud come un trampolino di lancio per la propria agenda digitale, con investimenti nel software as a service destinati ad aumentare del 50% nei prossimi 12 mesi. Il 43% del campione ritiene che i cloud provider possano offrire un servizio migliore per i dati mission-critical rispetto ai processi IT interni. Gli investimenti nel Backup-as-a-Service e Disaster Recovery as a Service aumenteranno di pari passo in quanto le aziende li combineranno con la tecnologia cloud.”


Per rispondere a queste criticità Veeam mette a disposizione una piattaforma in grado di spostare workload all’interno di un’infrastruttura di cloud ibrido in modo semplice e dinamico. Cuore della piattaforma è Veeam Availability Suite in grado di effettuare backup, recupero e replica dei dati. Se il ripristino delle macchine virtuali è garantita in pochissimi minuti, risulta interessante la possibilità di gestire il recupero di dati e infrastrutture on premise all’interno di data center, con la possibilità di affidarsi a provider esterni attraverso Cloud Connect, un connettore per estendere il data center aziendale verso fornitori di cloud privato nonché la possibilità di spostare workload attraverso Veeam Availability Orchestrator o addirittura proteggere le informazioni relative a soluzioni di Saas (come per esempio Office 365). Senza trascurare il fatto che attraverso Veeam Agent (per Windows e per Linux) è possibile garantire la protezione di server fisici presenti nelle infrastrutture sia on premise sia in co-location presso cloud provider.
Non ultime la copertura delle istanze relative a compliance e visibilità attraverso la componente VeeamOne – con la possibilità di fornire report dettagliati.  

Uno scenario ricco di opportunità
Uno scenario quindi denso di opportunità per Veeam e i partner di canale e tecnologici. In quest'ultima direzione fondamentale il ruolo giocato dalle alleanze strategiche con il cui vendor sta intensificando le relazioni: a partire da quelle con Cisco e HPE per spingere in modo congiunto temi relativi all’evoluzione dei data center moderni quali Availability,  ipeconvergenza, Software Defined Data Center, per arrivare a quelle con i principali vendor di storage, backup and recovery – tra cui Dell EMC, NetApp e gli emergenti Infinidat e Nutanix: “In questa direzione nessuna preclusione a nuove partnership ma completa apertura a nuove relazioni e attenzione all’evolvere del mercato,” sostiene Zammar.
C'è quindi un terreno molto fertile per l’azienda che nel 2017 punta a replicare – e se possibile a superare - i risultati del 2016: “Puntiamo a un target di crescita molto ambizioso del 30% – sfidante dopo 10 anni vita a livello mondiale e sei in Italia”.
Zammar si dice molto soddisfatto delle performance ottenute dall’area da lui seguita – quattro sottoregioni: “Italia, Iberia, Grecia e Cipro, Malta e Israele hanno tutte centrato l’obiettivo (+38%) con la Turchia molto vicina al raggiungimento, con un risultato più che buono vista la situazione politica ed economica di questo paese".
Le premesse per mettere a segno un buon 2017 sembrano esserci tutte.

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