Le aziende italiane credono al valore dell'innovazione digitale ma hanno difficoltà a realizzarla: mancano i fondi necessari e fa fatica ad affermarsi una visione strategica complessiva
Autore: Redazione ImpresaCity
Meglio del PIL in generale ma senza ancora uno scatto decisivo: è l'andamento del budget ICT delle imprese italiane secondo gli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano. Nel 2026 gli investimenti in ICT delle aziende nazionali cresceranno dell’1,8% rispetto al 2025, segno anche che le imprese italiane hanno compreso l’importanza del ruolo del digitale per la competitività. Il lato negativo è che questa crescita resta in linea con il trend degli ultimi dieci anni, senza accelerare. Manca la capacità economica per farlo: il 44% delle imprese italiane indica infatti che le scarse risorse sono il principale ostacolo all’innovazione.
Insomma, le imprese italiane vorrebbero innovare ma non riescono a farlo. E anche le aziende più grandi, che avrebbero le risorse economiche necessarie, fanno fatica a concretizzare in modo strategico la loro propensione all'innovazione. A questo punto "serve un cambio di passo", spiega Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking, perché le imprese devono passare "da iniziative sperimentali a modelli capaci di generare impatti misurabili nel tempo". Un obiettivo che richiede soprattutto investimenti, formazione, consolidamento degli ecosistemi nazionali di innovazione.
C'è sicuramente, e innanzitutto, da mettere ordine nelle varie iniziative di innovazione che le aziende stanno cercando di realizzare. Lo hanno capito meglio quelle grandi aziende - una su tre - che stanno definendo in merito una vera e propria strategia formalizzata che delinei le priorità dell'innovazione, la mantenga sempre coerente con gli obiettivi di business ed eviti una pericolosa dispersione di sforzi e risorse.
A questo serve tra l'altro la "Direzione Innovazione" che il 40% delle grandi imprese ha creato. Oltre la metà ha formalizzato la più generica figura dell'Innovation Manager, si inizia a diffondere anche l’Open Innovation Manager. Strutturare l'innovazione in questo modo fa bene, certamente, ma serve anche "investire sulla trasformazione culturale e sullo sviluppo delle competenze, costruire processi organizzativi flessibili, monitorare e misurare gli impatti", spiega Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy. E anche superare le barriere tra sperimentazione e messa in produzione delle iniziative di innovazione.
In questo panorama sempre un po' confuso, l'Intelligenza Artificiale sembra la bacchetta magica del momento. Secondo le stime dell'Osservatorio del Politecnico di Milano, il 21% delle grandi aziende ha già realizzato linee guida strutturate per adottare l'AI come strumento per accelerare l’innovazione, frenate però dalla carenza di competenze specifiche (la cita il 48% delle aziende) e dalla difficoltà di adottare l'AI in modo sia sicuro sia sistematico.
Peraltro, le grandi aziende nazionali non sembrano stare investendo - AI a parte - in tecnologie propriamente rivoluzionarie. In cima alle loro priorità di investimento in digitale ci sono la cybersecurity (indicata dal 65% delle imprese), poi effettivamente l’Intelligenza Artificiale (57%), a seguire Big Data Management e Business Intelligence (49%), Cloud migration e governance (35%). Tra le PMI, invece, le principali aree di investimento sono sicurezza informatica (45% di citazioni), Industria 4.0 (37%), Cloud (32%), ERP (30%).
Uno dei segnali più positivi che vengono dal mercato è il consolidamento della innovazione "aperta" e collaborativa. Ben l'86% delle grandi imprese ha avviato iniziative di Open Innovation, soprattutto collaborazioni con Università e centri di ricerca, scouting di startup, partecipazione a "call for ideas" o contest. Serve però anche qui un cambio di passo, perché anche per l'Open Innovation le aziende sembrano restare in una fase intermedia di maturazione che fatica ad andare oltre la sperimentazione.
Gli indicatori che fanno pensare questo sono diversi. La quota delle imprese che fanno Open Innovation resta stabile e questo "potrebbe indicare il raggiungimento di un plateau", spiega il Politecnico di Milano. L'impressione è poi che le imprese utilizzino le iniziative di Open Innovation principalmente per assorbire conoscenza esterna, più che per valorizzare quella interna. E la misurazione degli impatti dell’Open Innovation rimane limitata e frammentata (non oltre il 17% dei casi). Manca ancora, a quanto pare, la capacità di integrare l'Open Innovation in una strategia complessiva di innovazione e di business.