IBM: nell'AI c’è un gap tra ambizioni e reale preparazione, e i CDO cambiano strategie

In uno studio, l'81% dei Chief Data Officer intervistati privilegia investimenti per accelerare capacità e iniziative sull'intelligenza artificiale, mentre in Italia per la metà dei rispondenti le competenze sui dati sono una sfida importante

Autore: Redazione ImpresaCity

In occasione del Web Summit di metà novembre, l'IBM Institute for Business Value ha presentato un nuovo studio che mette in evidenza come le strategie aziendali in materia di dati stiano evolvendo rapidamente, mentre le organizzazioni si affrettano a integrare l'intelligenza artificiale in tutti i settori della loro attività. I risultati suggeriscono che, sebbene i Chief Data Officer, i CDO, guidino questa trasformazione, molti ritengono che i propri dati non siano ancora pronti per sfruttare pienamente il potenziale dell'intelligenza artificiale.

Basato sulle risposte fornite da 1.700 CDO in tutto il mondo, 60 dei quali in Italia, lo studio “The AI multiplier effect” evidenzia un gap tra le ambizioni e la preparazione in materia di AI. Sebbene l'81% dei CDO intervistati riferisca che la strategia dei dati della propria organizzazione è integrata con la roadmap tecnologica e gli investimenti infrastrutturali,  rispetto al 52% del 2023, solo il 26% è sicuro che i propri dati possano supportare nuovi flussi di entrate basati sull’AI. Inoltre, barriere come l'accessibilità, la completezza, l'integrità, l'accuratezza e la coerenza dei dati impediscono alle organizzazioni di sfruttarli appieno attraverso l'intelligenza artificiale.

 

Nel dettaglio, a livello globale il ruolo del CDO sta evolvendo rapidamente da custode dei dati a vero stratega del business: il 92% riconosce che il successo dipende dalla capacità di generare risultati aziendali, ma solo un terzo sa spiegare con chiarezza come i dati contribuiscano davvero agli outcome, e appena il 29% dispone di metriche solide per misurarne il valore. Nonostante questo, l’84% vede già vantaggi competitivi concreti dai propri data product e l’81% punta a investimenti mirati per accelerare le iniziative di AI. Tuttavia, persiste un forte divario tra ambizioni e realtà: solo il 26% è sicuro di sfruttare efficacemente i dati non strutturati e il 79% ammette di essere ancora agli inizi della governance degli AI agent. Sul fronte culturale emergono difficoltà nel diffondere una mentalità data-driven, mentre quasi la metà dei CDO denuncia una crescente carenza di talenti.

In questo scenario, l’Italia presenta alcune peculiarità significative: i CDO italiani sono tra i più orientati al business, con un sorprendente 97% che riconosce l’importanza degli outcome per il successo, e una capacità percepita più alta della media nel misurare il valore dei progetti data-driven. Tuttavia, comunicare l’impatto del ruolo resta una sfida per il 77%. Le priorità sono molto chiare: governance, qualità e data management rappresentano il focus principale per il 62% degli intervistati, mentre il 63% indica la scarsa integrazione dei dati come una barriera importante all’innovazione, un valore molto superiore alla media globale. Pur riconoscendo il potenziale degli AI agent, visto che l’80% afferma che i benefici superano i rischi, i CDO italiani devono notoriamente fare i conti con un mercato del lavoro difficile: l’85% fatica a reperire e trattenere talenti. Allo stesso tempo, emerge una forte attenzione ai temi di compliance e sovranità del dato, considerate leve competitive dall’82%, mentre l’83% delle aziende vede nelle partnership una fonte strategica di insight e il 77% un motore per accelerare l’adozione dell’AI.


 "L'intelligenza artificiale su larga scala in azienda è a portata di mano, ma il successo dipende dalla capacità delle organizzazioni di alimentarla con i dati giusti. Per i CDO, ciò significa creare un'architettura dati perfettamente integrata che sostenga l'innovazione e sblocchi il valore per l’impresa. Le organizzazioni che riusciranno in questo intento non solo miglioreranno la loro intelligenza artificiale, ma trasformeranno il loro modo di operare, prenderanno decisioni più rapide, si adatteranno più velocemente ai cambiamenti e acquisiranno un vantaggio competitivo”, commenta Ed Lovely, VP e Chief Data Officer di IBM.


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