Deloitte: la digitalizzazione ha messo il turbo, ma è l’ora dei modelli ibridi

Se la pandemia ha accelerato il ricordo a tutto ciò che è digitale, per il futuro crescono i consensi su un mix tra fisico e virtuale

Autore: Redazione ImpresaCity

Digitalizzazione innanzitutto. La pandemia Covid-19 ha dato una fortissima spinta, modificando i comportamenti dei consumatori e accelerando trasformazioni che normalmente avrebbero richiesto anni per affermarsi: lo conferma anche uno studio di Deloitte

L’indagine “Umanesimo digitale, stella polare della ripresa”, condotta in oltre dieci Paesi europei tra i quali l’Italia, ha evidenziato che il 30% dei consumatori ha provato per la prima volta lo shopping online e l’e-banking durante la prima ondata Covid, e che quasi la stessa percentuale (35%) di intervistati pensa che sfrutterà i canali di vendita digitali anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria.  

Ancora più significativo il dato sulla popolazione anziana: quasi la metà (44%) dei pensionati ha usato per la prima volta le tecnologie digitali. Ma digitalizzare ogni esperienza non è sempre la soluzione migliore: il 41% degli intervistati dichiara di preferire un mix tra canale e fisico per lo shopping. E il 38% ritiene che il processo di digitalizzazione non consideri sufficientemente l’aspetto umano.


Significativi anche i dati relativi alla digitalizzazione del lavoro: secondo il report di Deloitte, la media europea di chi ha provato il remote working per la prima volta è del 23%, con l’Italia leggermente superiore (25%): si tratta di un intervistato su quattro. Degno di nota anche il dato secondo cui il 38% dei rispondenti dichiara di essere riuscito a svolgere le proprie attività regolarmente durante il lockdown solo grazie all’innovazione tecnologica. Un chiaro segnale della trasformazione digitale su cui le imprese stanno spingendo, introducendo nuovi modelli e modalità operative.  

L’emergenza sanitaria ha anche messo in luce anche le lacune infrastrutturali che ostacolano il funzionamento delle tecnologie a disposizione. Ma, al di là dei limiti infrastrutturali, emerge che il processo di digitalizzazione non consideri abbastanza l'aspetto umano. A pensarla così il 36% degli italiani, in linea con la media europea del 38%. Ma ci sono paesi dove il problema è ancor più sentito, come la Francia, dove quasi la metà dei rispondenti (46%) lamentano tale carenza.  
Percentuale di quanti ritengono che la digitalizzazione non tenga conto a sufficienza del lato umano
Alla base di questa percezione diffusa c’è il fatto che la dimensione digitale e quella fisica non sono sufficientemente integrate: da qui nasce la perdita di efficacia dell’innovazione. Per esempio, chi durante il lockdown ha lavorato soltanto in smart working ha espresso in percentuale maggiore l’esigenza di contatto umano (55%) rispetto a chi ha lavorato in presenza o in modalità ibrida (50%). Per il futuro, quindi, si prevede che le soluzioni innovative più efficace e funzionali saranno costituite da un mix integrato di fisico e digitale

«I dati che emergono dalla nostra ricerca confermano un’importante evidenza che fin dalle prime settimane di pandemia avevamo intuito: la tecnologia e l’innovazione sono state fondamentali per permetterci di continuare a lavorare, studiare, comunicare. Senza questo prezioso alleato l’impatto della pandemia sarebbe stato molto più pesante da tutti i punti di vista: sanitario, economico, sociale», commenta Andrea Poggi, Innovation Leader North and South Europe di Deloitte. «Ma da questo grande esperimento che la pandemia ha creato, abbiamo anche capito quali sono i limiti dell’innovazione: non possiamo pensare di trasformare ogni esperienza fisica in esperienza virtuale. Dobbiamo andare nella direzione di una innovazione sempre più antropocentrica. E per questo pensiamo che le soluzioni vincenti saranno rappresentate da modelli ibridi, in cui c’è un mix integrato di digitale e fisico».

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