I dati aiutano il business. Ma bisogna gestirli bene.

Raccogliere dati non basta per far evolvere il proprio business: serve gestirli in modo mirato e sicuro per far circolare vera conoscenza in azienda. Canon spiega come.

Autore: Redazione ImpresaCity

Una gran parte delle imprese ha compreso l’importanza dei dati come base per migliorare i propri processi. Il principale problema che incontrano nel loro approccio alla cosiddetta “data economy” è che di dati in azienda se ne possono raccogliere davvero molti, ma questo non basta. Avere troppi dati sottomano è quasi, paradossalmente, come non averne nessuno. I dati vanno organizzati e resi fruibili, per essere trasformati in informazioni che aiutano il business. E questo deve avvenire il prima possibile lungo il loro ciclo di vita in azienda, che siano dati originati già in digitale oppure acquisiti da supporti fisici.

Un secondo ostacolo concettuale che molte aziende sottovalutano è che il dato ha appunto un suo ciclo di vita, che può essere molto lungo e articolato. Anche per esigenze normative, i dati non sono semplicemente raccolti, analizzati, eliminati. Sempre più classi di informazioni restano a lungo in azienda e bisogna garantirne la corretta conservazione. Il che rimanda a temi quali la sicurezza rispetto a modifiche improprie, lo storage sicuro, l’auditing, la compliance, la cifratura.

Queste considerazioni raramente si applicano in contesti in cui i dati sono già strutturati e seguono un flusso già completamente digitale che si può ridisegnare facilmente in funzione delle mutevoli esigenze della data economy. Di solito sono le esigenze di business a doversi confrontare con dati destrutturati, digitali e non, in flussi già instaurati che toccano vari sistemi. Le tecnologie e le soluzioni di nuova generazione hanno proprio lo scopo di fare da “collante” efficace in scenari eterogenei di questo tipo.

A patto ovviamente che si abbiano a disposizione tutte le giuste tecnologie, spiega Canon. Ecco perché nella reingegnerizzazione dei processi di acquisizione e gestione delle informazioni operano meglio i vendor tecnologici che, come la casa giapponese, hanno nel tempo sviluppato un’offerta che spazia dalla fase di “ingresso” delle informazioni, ad esempio con la scansione documentale o l’acquisizione di immagini, alla loro gestione trasversale e digitale, compresa tutta la parte di protezione e compliance. Per arrivare infine, quando serve, all’output fisico delle informazioni.

Anche i dati sono “nativi digitali”

Il principale dualismo che le aziende devono gestire è quello tra le informazioni “native digitali” e quelle cartacee. Un dualismo che perdurerà ancora a lungo e che può porre problemi quando si vuole certificare la correttezza delle informazioni lungo un processo di business articolato, che comprende svariate fasi e molti attori. Un esempio significativo è il tracciamento della filiera alimentare. Un processo che richiede di raccogliere dati da processi cartacei e digitali, unificarli, garantirne l’immutabilità. E dare alle aziende la possibilità di ripercorrere rapidamente all’indietro la “catena” dei dati in caso di emergenze. Ad esempio, se si rileva la cattiva qualità di un prodotto alla vendita.

Uno scenario complesso che – spiega Marco Sarluca, Responsabile Pre-sales Business Information Services di Canon Italia – “vale per qualsiasi processo produttivo in cui i ‘materiali’ devono essere genericamente ‘corretti’ lungo le fasi del processo stesso”. Questo bisogno di certificazione si riflette in una gestione delle informazioni che deve anch’essa essere “certificata”: le informazioni devono essere corrette e immutabili. Questo obiettivo, secondo Canon, si può realizzare usando la tecnologia blockchain.

Marco Sarluca, Responsabile Pre-sales Business Information Services di Canon ItaliaBlockchain e i ledger distribuiti sono tecnologie che Canon ha già implementato in vari ambiti. Ma spesso ci si arriva per gradi.Molte aziende – spiega Sarluca – non hanno davvero ben presente il problema della certificazione delle informazioni. E molto poche, prima del GDPR, volevano già gestire i dati in maniera evoluta e sicura”. Per questo “si parte spesso da temi inizialmente semplici, come la digitalizzazione dei documenti, per presentare i nuovi approcci nella parte di analisi del nuovo processo di gestione dati che si sta mettendo in atto”.

Il processo che porta all’adozione di una piattaforma blockchain – ma non solo, il discorso vale in generale – per la gestione certificata di informazioni “sicure” prevede diverse fasi. Inizialmente per Canon è essenziale identificare le tecnologie più adatte per il cliente, in base alle sue esigenze ma anche alle specificità e alla “storia” dei sistemi IT che usa. Anche per questo una seconda fase prevede l’adattamento del nuovo flusso di raccolta e gestione delle informazioni con quello che già esiste in azienda. Un adattamento che spesso richiede sviluppi ad hoc per far dialogare sistemi di concezione e anche generazioni diverse.
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Introdurre una nuova gestione delle informazioni in azienda comprende per Canon anche fasi che vanno oltre gli aspetti più strettamente tecnologici. C’è da studiare insieme al cliente come far evolvere tutti i processi che gestiscono dati. Alcuni potranno essere mantenuti, altri andranno cambiati e altri ancora andranno abbandonati. L’obiettivo, non scontato, è arrivare a processi che siano il più possibile standardizzati ed interoperabili, oltre che compliant con le normative. C’è poi la parte di formazione dei dipendenti, che comprende anche la scelta su cosa, nel nuovo scenario, convenga mantenere come processo interno all’impresa e cosa sia meglio cedere fuori.

A ciascuno la sua strada di data management

Se il percorso di massima è comune per tutti, il modo di seguirlo cambia da impresa ad impresa. “Solo il 10-20% delle aziende – spiega Sarluca – ha già ben chiaro tutto il processo di gestione delle informazioni che cerca. Molte ci stanno pensando ora, vedendo che la digitalizzazione dei processi ha consentito a tante imprese di continuare a essere produttive anche nell’emergenza coronavirus… Il mercato si sta aprendo e offre molte possibilità”. Ma anche ostacoli da superare. “Molte aziende – sottolinea Sarluca – non abbandonano l’idea della proprietà e del controllo diretto dei sistemi e delle informazioni. Per questo dobbiamo progettare sistemi anche proprietari ma capaci di dialogare con l’esterno, in maniera sicura”.

C’è poi la grande parte dell’integrazione con l’esistente. “Tutte le aziende vogliono giustamente ottimizzare gli investimenti che hanno già fatto – spiega Marco Sarluca – e questo ci rimanda alle componenti di integrazione. Spesso anche con sistemi considerati legacy, il che richiede una buona dose di sviluppo ad hoc”. Ma proporre grandi progetti di integrazione ha raramente senso. “Non possiamo pensare ai classici progetti da un paio d’anni, come per le implementazioni ERP. Puntiamo invece su soluzioni più limitate e su progetti agili, in stile adopt-and-go, che mostrino subito i vantaggi della gestione evoluta delle informazioni”.

La discriminante nella velocità di adozione delle nuove tecnologie per la gestione dei dati non è, come si potrebbe pensare, la dimensione aziendale. “Conta di più – evidenzia Sarluca – il loro retaggio culturale e il settore in cui operano. Ci sono piccole imprese che sono già evolute digitalmente e non hanno problemi. Poi altre, di qualsiasi dimensione, che operano magari da anni e hanno nel tempo costruito processi di gestione dei dati molto stratificati, difficili da modificare. Ma anche aziende altrettanto longeve che hanno saputo adattarsi tecnologicamente”.

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