Intelligenza artificiale e reskilling: un costo da far pagare alla società?

Dal World Economic Forum arriva una proposta: far pagare alla società nel suo complesso il reskilling delle persone che verrebbero sostituite dall'automazione

Autore: f.p.

La domanda è di quelle scomode: "who should pay for workers to be reskilled?". Ossia: "chi dovrebbe pagare per il reskilling dei lavoratori?", sottintendendo che si tratta dei lavoratori soppiantati in qualche modo da nuovi sistemi basati sulla intelligenza artificiale. È significativo che la domanda venga direttamente dal World Economic Forum di Davos, appuntamento in cui dovrebbero essere delineati i trend di sviluppo economico e sociale del prossimo futuro.

Il dibattito in merito agli impatti delle soluzioni di intelligenza artificiale sul mondo del lavoro va avanti da tempo e il campo si divide tra ottimisti e pessimisti. Uno dei pochi punti comuni nelle varie visioni del problema è l'importanza del reskilling e dell'upskilling: acquisire nuove competenze è indispensabile non solo per non farsi soppiantare dall'AI, ma in generale per avere un costante percorso di crescita professionale.

Premesso questo, dal World Economic Forum arriva un messaggio che appare quantomeno discutibile: la formazione dei dipendenti costa e per le aziende non è sempre vantaggiosa in termini puramente economici, quindi l'unico modo per garantirla ai lavoratori "recuperabili" è farla pagare in parte ai contribuenti. È il succo, molto in sintesi, di un report realizzato in collaborazione con Boston Consulting Group e focalizzato - è opportuno sottolinearlo - sul mercato statunitense.


Il report parte da una constatazione definita "incoraggiante". Nei prossimi dieci anni quasi un milione e mezzo di lavoratori statunitensi sarà sostituito da forme di automazione basate su intelligenza artificiale, ma quasi tutti (il 95 percento) potrebbero essere spostati in ruoli simili e con retribuzioni anche superiori. Questo però costerebbe circa 34 miliardi di dollari, una media di 24 mila dollari per dipendente.

"La questione di chi pagherà per i dipendenti senza lavoro e per l'upskilling necessario nei vari settori di mercato si sta facendo urgente", ha dichiarato Saadia Zahidi, Managing Director del World Economic Forum. Una espressione un po' diplomatica per indicare che alle aziende non interesserà davvero accollarsi tutti i costi, perché in quel caso i vantaggi economici delle soluzioni di AI sarebbero vanificati.

Il report di Boston Consulting Group lo schematizza chiaramente. Dare a un dipendente nuove competenze è vantaggioso perché evita i costi del licenziamento e di una nuova assunzione, inoltre chi è già in azienda ha una maggiore produttività rispetto a un nuovo dipendente che deve imparare a muoversi nella sua nuova realtà lavorativa. Ma formare un dipendente costa direttamente (il costo "puro" della formazione) e indirettamente (la sua mancata produttività mentre si sta formando).


A risolvere questo costoso dilemma dovrebbe essere la società nel suo complesso, accollandosi i costi della formazione di parte dei lavoratori coinvolti. Perché farlo? Perché i dipendenti licenziati diventerebbero un peso in più per il welfare, mentre se venissero spostati in altri ruoli idealmente più remunerati lo Stato vedrebbe aumentare le sue entrate per le maggior tasse incamerate. Saadia Zahidi spiega tra l'altro che "i Governi e i contribuenti si assumerebbero i costi come importante investimento sociale".

Già, ma quali sarebbero i costi? Il modello sviluppato dal Boston Consulting Group indica, sempre valutando il caso statunitense, che lo Stato USA avrebbe una convenienza economica a recuperare il 77 percento dei dipendenti in esubero, spendendo poco meno di 20 miliardi di dollari. Parallelamente, alle imprese converrebbe recuperare il 25 percento dei dipendenti in esubero, investendo 4,7 miliardi di dollari.

Ha senso questo modello? Dal punto di vista delle imprese certamente. Idealmente un'azienda che adotta soluzioni di automazione incamera subito i risparmi operativi che queste comportano, poi investe nel reskilling solo dei dipendenti "migliori" (quel 25 percento indicato appena sopra) e lascia allo Stato la spesa legata alla formazione delle persone che non ha convenienza a formare direttamente (e per le quali non ha spese di licenziamento o simili). Queste stesse persone poi andranno a lavorare per altre aziende analoghe, o magari proprio per l'ex datore di lavoro, favorendo di nuovo il settore privato.

Qualche perplessità è inevitabile, anche numeri alla mano. Perché non è una questione tanto di numeri quanto di approccio. Qualsiasi evoluzione tecnologica investe il mondo del lavoro e porta i suoi sconvolgimenti: è sempre stato così e, proprio per questo, storicamente tutte le evoluzioni più importanti sono state in qualche modo gestite, per arrivare alla migliore convergenza di interessi possibile. Alla fine, rimandano a scelte aziendali sulle quali si può intervenire. Tutt'altra cosa è considerarle, come sembra fare il World Economic Forum, un evento inevitabile le cui conseguenze negative devono essere assorbite dalla società.

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