Serve un modo nuovo di guardare agli skill in azienda, spiega Gartner

Solo una minima percentuale dei lavoratori possiede le competenze che servono alla carriera, uno skill gap che non si colma con i metodi tradizionali di formazione continua

Autore: Redazione ImpresaCity

Secondo gli analisti di Gartner, il cammino delle imprese verso la loro trasformazione digitale è complicato anche da una complessiva mancanza di competenze: quelle che servono maggiormente non sono reperibili all'interno e sono anche difficili da recuperare sul mercato. In effetti è una considerazione che si fa da tempo, le cifre di Gartner sono però particolarmente impietose: il 70% dei dipendenti non ha una completa padronanza degli skill necessari già al suo ruolo attuale e una percentuale ancora maggiore - 80% - manca di quelli che servono per la carriera futura.

Lo scenario è preoccupante per chi si occupa di risorse umane e recruiting, perché le pressioni che vengono dal management delle imprese spingono verso il reperimento rapido delle competenze considerate chiave per la digitalizzazione. Oltre due terzi dei business leader, spiega sempre Gartner, ritengono infatti che la propria impresa non sarà più competitiva se entro un paio di anni non avrà aumentato "significativamente" il suo tasso di digitalizzazione. È una spinta verso l'innovazione che il 64% dei responsabili delle risorse umane non crede i dipendenti siano in grado di sostenere.

Gartner sottolinea che uno skill gap di queste dimensioni non si può colmare con gli approcci tradizionali alla formazione dei dipendenti, nemmeno adottando tecniche e piattaforme per la formazione continua. Il cosiddetto "continuous learning" viene in un certo senso dato per scontato, in un panorama tecnologico a forte evoluzione come quello attuale. Il suggerimento è quello di fare un passo in più e adottare l'approccio del "connected learning", che in particolare fa leva sia sulla necessità di far evolvere i propri skill sia sugli interessi personali dei dipendenti.
Il connected learning è un approccio già diffuso in ambito strettamente educativo e che si sta affacciando anche nelle imprese. L'idea di fondo, di primo acchito anche molto ovvia, è che sia più facile apprendere nuove nozioni quando queste si incrociano con i propri interessi personali. Meno ovvio - ed è qui la parte più interessante del connected learning - è che in questo approccio l'apprendimento deve essere anche favorito dall'interazione con altri "alunni" e "insegnanti" (in senso lato), dall'accesso alle molte informazioni reperibili online e da una correlazione motivante tra formazione e riconoscimento sociale o lavorativo.

Non è semplice tradurre questi principi nella pratica della formazione dei dipendenti, perché significa operare sia a un livello "macro" (capire gli skill richiesti dal mercato, essenziali per l'impresa) sia in una dimensione "micro" (stimolare il percorso di crescita del singolo dipendente). Gartner suggerisce però che i ritorni sono evidenti: rispetto a un "continuous learner" tradizionale, un connected learner ha un tasso di preparazione del 28-39% superiore ed è otto volte più probabile che diventi un top performer aziendale.

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