La rinascita (possibile) dell'industria italiana

Le aziende che sono riuscite a passare indenni la micidiale crisi protrattasi a partire dal 2007 sono più forti di prima. Hanno investito in innovazione, hanno migliorato la produttività e si sono allargate su nuovi mercati

Autore: Piero Macrì

La favorevole congiuntura che si va evidenziando in Europa lascia ben sperare, tanto da far ipotizzare per il 2018 un andamento positivo reiterando così le performance del 2017, anno primo dell’emersione dalla decennale crisi. Siamo in presenza di una condizione macro economica che potrebbe favorire gli investimenti nell’Information Technology.

Anche l’Italia sta beneficiando di questa ripresa globale, ma recuperare la ricchezza perduta in questi anni non sarà immediato. Come si afferma in un recente rapporto del Centro Studi di Confindustria, "pur riuscendo a ridurre il divario di incremento con il resto dell’area euro, il Pil viaggia su valori ancora distanti dal picco pre-crisi tanto che nel nel 2019 si prevede che il Pil italiano sarà ancora al di sotto del 2,9% rispetto al livello del 2007". Con un tasso di crescita medio dell’1% - affermano gli analisti - il recupero completo avverrebbe nel 2021.

Cribis, società del Gruppo Crif specializzata nella business information che ha indagato la situazione dei fallimenti delle imprese italiane, rivela che nel periodo 2009-2016 i fallimenti sono stati 101.634, per una media di 12.704 all’anno. Nel 2017 hanno dichiarato fallimento 8.656 imprese, numero sempre elavato, ma in netto calo rispetto alle cifre degli anni precedenti,

Complessivamente nell’industria sono 16 mila le imprese che negli ultimi 8 anni hanno cessato la propria attività. Dati negativi, certo, ma che devono essere inquadrati all’interno del più ampio contesto demografico d’impresa. Secondo i dati Istat l’indice di natalità delle imprese, ovvero il rapporto tra tasso di nascita e mortalità, dal 2009 al 2015 ha espresso un turnover negativo pari all’1,6%. Insomma, la crisi ha prodotto anche anticorpi che hanno permesso una rigenerazione delle attività imprenditoriali.

A questo riguardo è interessante notare che nel comparto dell'Industria, secondo dati Istat, i tassi di natalità e di mortalità sono inversamente correlati al livello di intensità tecnologica. Dove prevale l’investimento tecnologico vi sono quindi più opportunità di una crescita sostenibile al contrario di quello che succede nei comparti caratterizzati da un basso profilo tecnologico, più vulnerabili ed esposti a rischio di fallimento. 

Il comparto industriale sta esprimendo una dinamica più che positiva. Nel corso di questa lunga crisi una parte delle imprese che esistevano fino a dieci anni non sono più sul mercato, ma nello stesso tempo si sono consolidate quelle realtà che hanno dimostrato più resilienza alla negatività espressa dai mercati e alla debolezza del contesto finanziario.

Nel corso dell’anno il fatturato dell’industria manifatturiera italiana ha evidenziato una crescita fino a pochi anni fa inimmaginabile esprimendo una dinamica anche superiore a quella tedesca. Basti pensare che nel secondo trimestre dell’anno il manifatturiero italiano è aumentato in valore del 6,4% su base tendenziale mentre il comparto tedesco ha segnato un + 5%.

Da più parti si segnala come siamo in presenza di una rinascita dell’industria italiana. Le aziende più forti, quelle che sono riuscite a passare indenni la micidiale crisi protrattasi a partire dal 2007, sono più forti di prima. Hanno investito in innovazione, hanno migliorato la produttività, si sono allargate su nuovi mercati e stanno cogliendo i frutti delle opportunità che possono nascere da un mercato globalizzato.

Sono i dati a parlare. A giugno l’export è cresciuto dell’8,2% rispetto al giugno 2016 e nei primi sei mesi di quest’anno l’aumento è stato del 9,1%. Gli incrementi più sostenuti delle esportazioni italiane sono stati verso la Cina (+32,9%), la Russia (+26,8%), gli Stati Uniti (+12,4 %), il Sud America (+18,9%), i paesi asiatici (+8,6 %) e il Giappone (+4,2%).

La capacità di resistenza e nello stesso tempo la capacità di innovazione espressa dall’impresa italiana, in particolare nel settore manifatturiero, non sono tanto correlate agli incentivi fiiscali messi in moto dall’Industria 4.0: i risultati e le performance nascono essenzialmente dalla capacità imprenditoriale e da una visione strategica coerente con l’evoluzione dei mercati così come dalla consapevolezza che una qualsiasi attività deve necessariamente essere sostenuta da una continua ricerca e sviluppo nella tecnologia.

Il piano Industria 4.0 mette comunque in moto tutta una serie di leve a livello fiscale che senza dubbio possono accelerare la ripresa e permettere un ammodernamento più esteso del settore, con ricadute positive in termini di riqualificazione e re-ingegnerizzazione della produzione. Serve comunque altro per stabilizzare la crescita: una politica industriale che renda sostenibile un percorso da molti già avviato. E' su questo punto che si giocherà la possibilità di sfruttare al meglio quella che sembrerebbe essere l’inizio di una nuova età dell’industria italiana. Digitale, forse, ma soprattutto imprenditoriale.



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