Non basta collezionare dati, occorre interpretarli

Il Big Data è un fenomeno che è ben lungi dall’essere diventato una pratica mainstream ed è un fenomeno che deve ancora essere pienamente valorizzato

Autore: Piero Macrì

Esiste una teoria che afferma che i dati si espandono in rapporto alla disponibilità e capacità dello storage. Se valutiamo la condizione attuale e le prospettive future, ciò vuol dire che il volume di dati prodotto globalmente tenderà a crescere all’infinito. Il Big Data è, pertanto, una conseguenza fisiologica di questo fenomeno e mira a valorizzare le informazioni che si annidano nell’ecosistema di dati generato dall’Internet of things, dalla componente social networks e dalla progressiva digitalizzazione di processi e servizi.
Per valutare quanto questo fenomeno sia reale basti pensare che il 90% dei dati generati globalmente sono stati prodotti negli ultimi due anni. Una crescita iperbolica, una tendenza che è ormai diventata una costante di sviluppo. Che da questa gigantesca quantità di dati si possa poi passare, attraverso un processo di contestualizzazione relativo all’attività di riferimento delle singole aziende, a una reale valorizzazione e monetizzazione dei dati è poi tutto da vedere.
Diciamo che per ciascuno significa essere di fronte a un fenomeno che determina una potenziale opportunità di business. La sfida è riuscire a creare un processo di raffinazione dei dati per razionalizzare un universo di dati in precedenza inesistente. Processo, comunque e sempre, associato a una complessità maggiore rispetto al passato.
Ma per quanto il Big Data sia diventato il nuovo mantra esso non si traduce ancora in una metodologia applicata con successo all’interno delle organizzazioni. Tranne eccezioni, il Big Data, nella migliore delle ipotesi, permette di avere una maggiore eterogeneità di dati rispetto a quelli sinora trattati  così come attingere a nuovi data source. Il Big Data è un fenomeno che è ben lungi dall’essere diventato una pratica mainstream e, non ultimo, è un fenomeno che deve ancora essere pienamente valorizzato.
Insomma il messaggio che arriva agli utenti è il seguente: guardate, intorno a voi esiste una quantità di dati che potete valorizzare, che è estranea al patrimonio di informazioni tradizionale. Armatevi di un setaccio e setacciate, se siete fortunati troverete il nuovo oro. Meglio rimanere con i piedi per terra. Tutto è possibile, ma è bene sognare ad occhi aperti. Nel senso che è meglio non cadere preda di facili illusioni. Per esempio è bene sapere che nonostante vi siano aziende che affermano di essere diventate data-driven le decisioni importanti, di alto livello, sono ancora determinate da altri fattori.
Una cosa è avere la capacità di collezionare dati, e le tecnologie oggi disponibili permettono di collezionare una varietà e un volume di dati senza precedenti, altra cosa è far sì che questi dati determinino delle azioni reali e coerenti. Perché il reale problema è interpretare i dati. Tanto è vero che se due società attive nello stesso settore fossero nella condizione di disporre degli stessi dati, nessuna delle due assumerebbe le stesse decisioni poiché i dati verrebbero, per l’appunto, interpretati secondo coscienza.

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